Per il pubblico di Vasco Rossi è stato il regalo che ha inaugurato il 2021, un anno che tutti sperano migliore del precedente. Una canzone intensa che s’inserisce a pieno merito nel repertorio dell’artista emiliano e ci dà il pretesto per presentare uno dei musicisti che sono da tempo parte integrante del suo team americano.
Sono passati diversi decenni da quando il rocker italiano ha acquistato una casa con annesso studio di registrazione a Los Angeles e da allora la solare città californiana per lui è diventata una seconda residenza, il posto dove passare qualche mese ogni inverno.
Quale luogo migliore per rilassarsi e lasciar andare liberamente la creatività, magari con l’aiuto di un gruppo di fidati collaboratori? Uno di questi è un vecchio amico che conosce bene tutta la storia e i suoi protagonisti. Il suo ruolo di rilievo nella nuova canzone è un ottimo pretesto per fargli vuotare il sacco.
Simone Sello è un chitarrista romano che nel 1997 ha deciso di tentare il grande salto trasferendosi a L.A. per fare il musicista, come tanti altri. È uno strumentista dalle notevoli doti ma nel suo bagaglio c’è anche una preparazione completa di base che all’epoca gli ha permesso di lavorare per ben quattro stagioni nell’orchestra del festival di Sanremo.
La chiave per inserirsi gradualmente all’interno del mondo musicale californiano è rappresentata però dalla sua esperienza parallela di programmatore. Grazie alla conoscenza fatta in Italia con Steve Vai, infatti, appena arrivato in USA viene messo in contatto con un altro famoso strumentista che cerca aiuto per gestire il suo studio, Billy Sheehan.
Dalla gestione delle macchine del famoso bassista a mettere in mostra le sue doti di chitarrista il passo è breve, ma è importante sottolineare che è la completezza del suo bagaglio generale a permettergli di lavorare e vivere in una città come Los Angeles, dove di bravi strumentisti ce n’è in sovrabbondanza.
Vero, Simone?
È stato proprio così. Oggi i due ruoli, sia come programmatore/arrangiatore che come musicista, vanno di pari passo. Non potrei pensare di pagare le bollette soltanto suonando la chitarra. Quando la chitarra viene a far parte di un sistema più ampio fra produzione, scrittura, arrangiamenti, soprattutto di composizione musicale per cinema e tv, allora il discorso cambia.
L’America è un posto un po’ particolare, perché è vero che è grande e spazi ce ne sono, ma è anche vero che, soprattutto in certi stili musicali e per strumenti come la chitarra elettrica, andiamo un po’ a rubare a casa dei ladri… quasi come un cuoco straniero che viene a Roma e cerca di affermarsi con la sua bravura nel cucinare una Carbonara…
L’interesse per la programmazione e per la musica elettronica nel mio caso è sempre andata di pari passo con quella per la chitarra, anche se sono due mondi che per molti anni non avevano collegamenti. Nel 2021 le cose sono cambiate, stili e generi si sono fusi fra loro, grazie anche all’abbassamento dei costi della tecnologia in tutti i campi.
Questo ha creato una maggiore accessibilità a tutti questi mondi. Quando l’ho fatto io tutto era ancora in via di sviluppo. I sistemi portatili non erano ancora così potenti e ricordo che dall’Italia ho fatto spedire un rack pieno di macchine pesanti, tra outboard per registrare ed expander vari. La spedizione mi costò un sacco di soldi.
Già, chi inizia oggi a confrontarsi con il mondo del recording o della programmazione non sa cosa voleva dire farlo trent’anni fa, quando registrare a casa con l’obiettivo di un suono professionale significava fare investimenti importanti e riempirsi di macchine ingombranti. Pro Tools ne è un esempio.
Vero. Dopo pochi anni la maggior parte di quelle macchine era praticamente scomparsa. Alcune cose analogiche le ho tenute, ma oggi si è tutto rimpicciolito in termini di dimensioni e anche di costi, per cui è molto più facile andare in questa direzione.
Come sei entrato nel giro di Vasco?
Era circa il 2008, credo, e la cosa è partita in maniera particolare. Serviva una persona che assicurasse una buona comunicazione, sia in termini musicali che linguistici, con Slash, chiamato per suonare in una canzone. È stato quello il mio ruolo iniziale.
Slash è stato molto simpatico perché, essendo un’icona, si è presentato proprio… vestito da Slash, ma era trafelato e si sentiva in colpa per il ritardo dovuto al traffico.
Sembrava di essere a Roma con il solito amico ritardatario… una situazione molto carina e lui è stato simpaticissimo, facilissimo lavorarci assieme.
E questo team losangelino come si è sviluppato?
Il coordinatore storico di queste produzioni a Los Angeles è Saverio Principini, che è anche songwriter oltre che produttore. Lui gestisce lo studio all’interno della casa di Vasco, con il quale ci si incontra, si parla di musica e a volte esce fuori anche qualche idea musicale.
Ultimamente abbiamo integrato nel gruppo anche Marco Sonzini, un giovane sound engineer e musicista di Piacenza che sta facendo grossi passi avanti… ad esempio, ha prodotto l’ultimo disco di Tiziano Ferro. Il suo ruolo con noi è quello di studio manager, il mio quello di musicista, quello di Saverio è quello di produttore e coordinatore della produzione.
E intorno si muove un numero variabile di musicisti…
Sì, certo. Uno di quelli che girano più spesso è Matt Laug, il batterista ufficiale di Vasco, che è di Los Angeles.
Come nasce “Una canzone d’amore buttata via”?
La mia parte di chitarra è stata realizzata più di un anno fa. La canzone è stata registrata all’inizio qui a Los Angeles in pre-produzione con altri musicisti in una versione leggermente diversa da quella che poi è uscita.
In seguito hanno finito la produzione a Bologna mantenendo l’assolo di chitarra, che in origine era leggermente più lungo, e i cori di Annalisa Giordano.
Nel background si sente un bel lavoro di tessiture chitarristiche…
Quelle dovrebbero essere le chitarre di Mattia Tedesco, che è intervenuto nella produzione italiana. Alcune delle parti erano già presenti nella nostra pre-produzione, suonate da me su idee di Saverio Grandi, uno dei coautori della canzone assieme a Saverio Principini, ma l’arrangiamento finale l’ha curato Celso Valli chiamando vari musicisti italiani.
È interessante anche la parte di basso, suonata da Cesare Chiodo.
Per la curiosità dei chitarristi, che strumentazione hai usato per l’assolo?
La cosa interessante è che… non me lo ricordo! Però abbiamo due possibilità, o è una Strato degli anni ‘80 con la tastiera in palissandro e un humbucker al ponte, o una Les Paul con i P-90… io penso sia la Strato pompata, perché quegli armonici altrimenti non sarebbero stati facili da ottenere.
L’amplificatore, invece, è un Marshall Plexi, ma talmente modificato che forse non è neanche più un Marshall, microfonando una cassa 4×12” con i coni Greenbacks.
In generale, come funziona il rapporto con Vasco quando viene a Los Angeles? C’è una formula prestabilita o è tutto casuale?
Bella domanda… di base Vasco viene qui a cambiare aria, a svernare, un paio di mesi da novembre e altrettanti da febbraio in poi. Viene a cercare una prospettiva diversa rispetto a quella che è la sua quotidianità italiana e tutto sommato a riposarsi, però è sempre Vasco Rossi per cui – tempo 2 o 3 settimane – oltre alle varie cene e altri eventi che non hanno nulla a che fare con la musica, dopo un po’ si inizia a parlare delle influenze musicali più importanti, a scrivere delle idee e da lì possono nascere delle situazioni in cui a lui vengono in mente delle melodie cui poi attacca delle parole e nasce una storia.
Questo è uno dei modi secondo i quali si sviluppano le cose… Nel caso di “Una canzone d’amore buttata via” tutto nasce da una sequenza di accordi sviluppata da Saverio Grandi e Saverio Principini che poi Vasco ha fatto sua completandola con il testo e buona parte della melodia.
Ve le suona lui accompagnandosi con la chitarra le sue idee?
Di solito si limita a cantarle. Quando registro gli piace essere presente al momento delle parti solistiche e dei riff importanti, anche se poi molte cose rimangono limitate alla pre-produzione ma si vede che lui ha una passione per un certo tipo di suono… È raro vederlo con la chitarra in mano.
Comunque, dev’essere una bella soddisfazione che proprio il tuo assolo sia stata l’unica parte strumentale tenuta nella versione definitiva. Mi pare che non succeda così spesso…
Sì, spesso per esigenze di vario tipo il lavoro che facciamo qui non viene poi utilizzato o, a volte, completamente cambiato. Questo fa parte di un processo normalissimo cui sono abituato. Ovviamente è una grande soddisfazione quando una parte di questo lavoro viene tenuta per il prodotto finale.
Ci ho messo del tempo a realizzare quell’assolo. Non ricordo tutto nel dettaglio ma, secondo il mio modo di lavorare, mi sono messo a spostare leggermente una nota o l’altra assieme a Marco Sonzini che opera con Pro Tools.
Lo abbiamo rifatto fino ad arrivare a quel suono specifico correggendo addirittura le singole note, i singoli slide…
Lavoriamo insieme molto bene, io e Marco, risuonando le parti e con l’editing. Lo facciamo in fretta anche se è un assolo studiato… Io faccio di solito una prima take e se ci piace dove va, allora inizio a cambiare delle cose.
In quella fase, visto che l’ampli è ancora acceso e ho la chitarra a portata, invece dell’editing spesso preferisco risuonare, fare dei punch in, come è successo anche per questo assolo.
Ma questa non è la tua sola presenza nelle canzoni di Vasco, ce ne ricordi qualcun’altra?
Sì, nel singolo “Manifesto futurista della nuova umanità” – del quale sono anche coautore – le chitarre principali sono mie e c’è l’assolo nel finale di “Starò meglio di così” su Vivere o niente.
Poi sono coautore di “Cambiamenti”, in “L’uomo più semplice” ho suonato la chitarra e anche altri strumenti, l’acustica in “L’ape regina” e varie altre canzoni…
C’è un mio assolo rock alla fine di “Ho Fatto Un Sogno” e in quel caso è la Les Paul con P-90 attraverso il solito Marshall Plexi modificato e la cassa 4×12” con Greenbacks.
A parte Vasco, la tua attività professionale continua in questi tempi difficili soprattutto con la realizzazione di soundtrack, vero?
Sì, musica per film e tv. Soprattutto la televisione in questi ultimi anni è stata la mia occupazione principale. Lavoro con un team di colleghi, fra compositori e musicisti, che si occupa di registrazione in vari settori, realizzando e gestendo la musica di vari compositori – fra cui anche me – per determinati show televisivi.
Questo oggi è l’impegno più concreto e quello che dura da più tempo. È la tv americana, ma sono spettacoli che spesso girano in tutto il mondo. Negli anni ho lavorato anche per produrre alcuni artisti, cercando di mettere su delle vere e proprie produzioni pop con contatti che sono arrivati anche alla Disney, ad esempio.
Adesso quel tipo di lavoro è molto più difficile, perché gli stili musicali cambiano in continuazione e oggi l’età media dei produttori si è abbassata molto, quindi ragazzi molto giovani che fanno quasi tutto sul loro laptop e, quando sono molto fortunati, lo portano in studio per lavorare meglio sulle tracce.
Questa è la tendenza e per molti stili musicali non c’è neanche più bisogno di un approccio come il mio.
E la parte live? C’è stato un periodo in cui ti sapevo spesso sul palco…
Chiaramente in questo momento c’è poco da parlare di live ma fino a qualche tempo fa ho lavorato abbastanza, ad esempio con un cantante che si chiama Aaron Carter, il fratello minore di Nick Carter dei Backstreet Boys.
Ha avuto un certo successo negli USA come bambino prodigio, ho iniziato a suonare con lui che aveva solo 14 anni…
Abbiamo iniziato suonando nei club e, piano piano, nell’estate ci siamo ritrovati nelle arene con più di 20.000 persone. Per qualche anno è stata una parte importante della mia attività, ora le cose sono cambiate.
Foto di copertina di Simone Sello a cura di Vladi Del Soglio
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