Ho volutamente contattato Mauro per farci spiegare l’album direttamente da lui tramite un’intervista telefonica che vi riporto di seguito…
Mauro ci racconti in breve la nascita del tuo album The Lost Boys?
Abbiamo registrato basso e batteria durante il Lockdown grazie a session avvenute via Skype. Le chitarre le ho registrate nel mio studio durante le ultime due settimane di Luglio. L’album è un concept e l’intento è stato quello di narrare le vicende di 13 persone in 13 città diverse del mondo. I
fatti accadono tutti il medesimo giorno: tutti i protagonisti vivono un incontro e un addio (naturalmente ho utilizzato l’escamotage delle 13 città per avere maggiore libertà riguardo ai generi diversi nelle composizioni e nelle atmosfere)
Come i due precedenti album ho cercato di comporre musica in stampo jazz rock, ricche di cambi di tonalità e con delle improvvisazioni di chitarra, come se fossero dal vivo.
Inoltre ho deciso di sperimentare molto i tempi dispari, appunto per creare una sorta di mistero e di equilibrio poco stabile, come per andare a ricalcare i sentimenti e le dinamiche dei personaggi all’interno della storia
La band è formata da Luca Fareri alla batteria (che si è occupato anche del mix e del mastering) Lorenzo Trincia al basso, e Gabriele Manzi al piano e alle tastiere e naturalmente io alla chitarra.
Quali sono i 2 o 3 brani del disco che ti rappresentano o a cui sei più affezionato e perché?
A livello compositivo sono molto legato a The Uprising, Migration e She’ll be fine, perché mi sembra di essere riuscito a centrare il tema su quale è basato il concept dell’album, cioè ricreare sensazioni riconducibili a un addio e ad un incontro.
A livello strettamente solistico sono soddisfatto di Anything goes e The day you were born, perché nelle improvvisazioni ho adottato dei concetti a cui sto lavorando ultimamente.
Parlaci dei tuoi progetti precedenti e dell’amicizia con Allen Hinds.
Negli ultimi cinque anni sono stato molto prolifico nella scrittura di musica originale. Il primo album, Suburbia, è stato prodotto da Allen, che è stato un mio insegnante durante i miei studi a Los Angeles.
L’amicizia è nata da subito, come il feeling dal punto di vista musicale. Un giorno ho deciso di inviargli qualche demo per avere un parere professionale e sono rimasto sbalordito quando mi ha proposto di lavorare alla produzione dell’album.
Il secondo album, Mid by Midwest, uscito due anni più tardi, invece, è una produzione totalmente locale a km 0 nel quale ho cercato di fondere un’armonia di tradizione jazz con un sound Country e Folk.
Allora ci dai lo spunto per parlare dei tuoi studi al G.I.T. di Los Angeles.
Trascorrere un anno in un luogo leggendario, dove tutti i maggiori musicisti contemporanei si sono formati, mi ha segnato profondamente. T
rovarmi tutte le mattine a studiare con insegnanti del calibro di Scott Henderson è stata un’esperienza quasi mistica. Inoltre la scuola è popolata da studenti provenienti da ogni parte del mondo.
Anche l’interscambio musicale culturale è stato uno dei valori più importanti di quella esperienza.
Per quanto riguarda la strumentazione che chitarre hai utilizzato nel disco e in genere che chitarre utilizzi o ti piacciono?
Ho utilizzato tre chitarre James Tyler, due Strato e una Tele e poi un’acustica della Guild. Principalmente mi ritengo un “fenderista”, amo il sound dei single coil della Strato e della Tele.
Da anni utilizzo le chitarre prodotte artigianalmente da James Tyler a Los Angeles. Ritengo siano il massimo per la qualità dei legni, per sfumature sonore e suonabilità.
Invece per quanto riguarda l’amplificazione? Che ampli hai usato accoppiati all’OX?
L’OX è stata la vera novità per la registrazione del nuovo album. In tutte le sessions non ho mai utilizzato una cassa microfonata in maniera tradizionale.
Mi sono servito di due ampli bogner (di cui sono endorser) la Shiva e la Barcellona; mentra con l’OX ho utilizzato una cassa con i coni Celestion lead ‘80.
Il tutto dentro un preamplificatore microfonico Chandler limited Germanium e un convertitore Apogee.
Quali sono gli effetti che utilizzi di più sia in studio ma anche dal vivo?
Sono da sempre abituato a suonare con un ampli pulito boostato con un overdrive leggero. Per i puliti non posso rinunciare ad utilizzare tre Clean boost diversi: uno è RC booster Xotic, l’altro è il Soul Food della EHX che utilizzo per creare sonorità di stampo Vox, l’ultimo è un Fulldrive prima versione in modalità ‘comp’ utilizzato per creare dei puliti sporchi alla Sheryl Crow.
Per i suoni lead utilizzo da sempre una Zendrive, un BB preamp oltre che il il Pork Loin della Way Huge.
Non li utilizzo mai combinati insieme ma sempre da soli sul pulito dell’ampli. Inoltre sono un appassionato dei delay a nastro; ultimamente mi sono innamorato del Dunlop Echoplex che è un incredibile simulazione del famosissimo EP3.
Mauro dicci come uno studente può venire a lezione da te.
Da circa 15 anni insegno in alcune scuole della provincia di Latina e nel mio studio privato a Sezze. Ultimamente ho incrementato anche le lezioni a distanza tramite Skype.
Chi fosse interessato può contattarmi su Facebook o Instagram e tra qualche mese anche sul mio sito Internet personale.
Tornando all’album The Lost Boys, vi posso dire che le sonorità di Mauro sono molto americane e davvero molto interessanti, il suo non è un chitarrismo scontato, né fine a se stesso; l’autore è alla ricerca della melodia, dell’atmosfera e di un’emozione da dare all’ascoltatore.
È un album molto musicale, che comunque ci riporta a ricercate atmosfere chitarristiche che possono essere di un Allen Hinds o di altri chitarristi della scuola di Los Angeles (che se non si fosse capito sono i miei preferiti).
Del disco, oltre alla composizione ed alla esecuzione impeccabile, ho apprezzato in maniera particolare il suono.
Mauro è riuscito a creare un proprio suono, non stereotipato a quello della grande maggioranza dei chitarristi in circolazione, ma con una voce propria e riconoscibile.
Consiglio a tutti, i chitarristi in particolare, ma anche a tutti i musicisti, di ascoltare questo lavoro di Mauro Di Capua, che secondo il sottoscritto non ha nulla da invidiare a produzioni ben più blasonate e famose e magari di oltreoceano, quando abbiamo dei talenti nostrani mi sembra sia opportuno e buona cosa supportarli.
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