Riempire il silenzio
Cercare la musica ovunque potrebbe essere un’ossessione, non solo la mia, ma anche quella di molti lettori, una “malattia” alla quale sono legato inconsapevolmente da tanto tempo. La lettura di Musicofilia di Sacks non mi ha aiutato ad annoverare, come potrebbe essere nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), la diagnosi o definizione della mia ossessione. Non sento musica, ma la cerco.
Questa è l’essenza del mio “disturbo”: la volontà di riempire il silenzio della giornata, la solitudine di un viaggio in auto al mattino, per andare al lavoro, avere un sottofondo durante le faccende di casa, oppure durante una pausa tra una lezione e l’altra (nell’aula insegnanti della scuola in cui insegno c’è anche una chitarra).
Riempire ossessivamente il silenzio, gli spazi vuoti della giornata con musica, tanta musica, tutta la musica che posso ascoltare, per non ascoltare altro, a volte per non ascoltare nemmeno me stesso.Il silenzio, che accompagna la solitudine invece, è un momento necessario che accade alla vita. Ho provato ad ascoltarlo.
Mentre mi accingevo a pensare al prossimo libro di cui parlare, sono andato a recuperare alcune letture legate alla mia gioventù e mi sono imbattuto in un testo molto particolare. Aprendo la copertina ho ritrovato una mia abitudine di quegli anni: scrivere il mio nome e la data nella quale iniziavo la lettura del libro.
Leggo 19 giugno 1997. Faccio fatica a ricordare com’ero. Probabilmente non avrei mai immaginato di essere quello che sono adesso.
Qualche anno prima, erano iniziati i tumulti giovanili, la rivoluzione interiore chiamata adolescenza. Ormoni a mille, rabbia contro il mondo che non capiva i giovani, lotta contro il sistema. Un grido si tagliava forte tra la mia generazione, il grunge.
La sua storia è narrata egregiamente da un amico e da altri suoi compagni di viaggio:
Dalle urla al silenzio
Le urla della mia gioventù, ad un certo punto diedero spazio al silenzio. Iniziai ad ascoltare, a dialogare con parti a me più intime. Accade in ognuno di noi. Quello che mi successe fu l’arrivo prorompente della poesia, della lettura, spasmodica e smisurata, in un isolamento volontario, dove trovare conforto nelle parole degli autori che andavo leggendo.
Nei primi anni del secolo scorso, l’autore di cui vi parlo oggi, diede alla luce il suo romanzo più famoso: Siddharta. Frutto dei suoi studi sul buddismo e sull’oriente, Herman Hesse influenzerà generazioni di lettori, che si rispecchieranno nelle pagine del suo romanzo, traendo da esso ispirazione.
Un testo transgenerazionale, capace di unire giovani di ogni epoca sotto un immaginario nuovo: la vita come un percorso di liberazione per raggiungere la verità e la realizzazione autentica di sé. Ma, se nella produzione artistica di Hesse, Siddharta trova un successo mondiale, altri suoi testi avranno un ruolo importante per tanti lettori, aiutando a scavare tra le pieghe del reale, cercando di indagare gli aspetti dell’uomo e della società, nei mutamenti sempre più veloci e radicali che caratterizzano in tutto il ‘900.
Il lupo della Steppa rappresenta proprio questo, un atto d’accusa, se vogliamo, alla società contemporanea, del suo tempo, nella quale l’autore intravede la decadenza dello spirito dell’occidente.
Diviene complesso definire il concetto di spirito, tanto più in quegli anni, che spesso guardiamo con difficile immaginazione, a cavallo tra le due guerre mondiali, in un periodo in cui si formano tra le più straordinarie menti del mondo, in un momento in cui prendono forma anche le più grandi aberrazioni e sofferenze che l’uomo riuscirà a produrre.
In questo mondo che cambia e muta, il nostro Herman Hesse scrive di sé, della difficoltà del percepire la società nuova come una società possibile, senza restare imprigionato nell’idea che quello che si sta compiendo è il suicidio dello spirito dell’occidente, come lui l’ha conosciuto.
Lo spirito dell’occidente si sta frammentando, l’autore stesso se ne accorge e tenta di descriverlo attraverso un personaggio che porta con sé le caratteristiche dell’uomo contemporaneo: il lupo, da un lato, rappresenta la parte istintuale dell’individuo, che convive con l’uomo, la parte razionale, pensante, legata alla cultura.
La “nuova” musica
Un’immagine di questa decadenza l’autore ce la offre attraverso queste parole, forse non troppo aspre, ma sicuramente significative:
«Mentre passavo davanti a un locale di danze, fui investito da una violenta musica di jazz, rozza e calda come un vapore di carne messa a bollire. […] per quanto mi fosse abominevole, aveva sempre per me una segreta attrattiva».
[H. Hesse 1927]
Legato alla musica ed all’arte “vera”, portatrice dello spirito dell’occidente, partendo da Bach e Mozart, Hesse in questo testo disprezza la nuova musica che arriva da oltre oceano, definendola come una musica di decadenza. Una musica che, al tempo in cui Hesse ne parla, si sta facendo strada, incarnando lo spirito del nero, che la suona, istintivo e “rozzo”, e dell’americano ingenuo e poco colto.
Allo stesso modo oggi, nella nostra epoca, dove un oceano di generi musicali si affaccia nel mondo, abbiamo comunque la percezione che la “nuova” musica, sia di decadenza. Ad ogni epoca appartiene la sua musica “elevata” e la sua musica di decadenza.
Dal romanzo di Hesse possiamo intravedere un grande effetto del ‘900 sul mondo: la velocità. L’epoca come concetto, come lasso temporale, si accorcia sempre di più. Ormai quasi la definiamo in decenni e non più in secoli, tanto sono rapidi e inafferrabili i cambiamenti.
Ogni epoca porta con sé il terreno della precedente ed il seme di quella futura. L’epoca d’altra parte non è una connotazione temporale, ma è tanto più una categoria ermeneutica per leggere il reale e, quando ci accingiamo a leggere la realtà, almeno cercando delle risposte che vadano al profondo e cerchino di individuare i nuclei fondanti del mondo, ci troviamo sempre in una condizione storica, legata al già stato, mai in previsione o anticipatrice del tempo.
Questa è la condizione del pensare filosofico, dello stare sul già stato. Questa è la condizione del personaggio del romanzo, che osserva e legge la decadenza del suo tempo, della sua epoca.
Leggere il presente
Ma il già stato, il già vissuto, l’analisi del nostro ora, sono elementi fondamentali per la nostra esistenza, sono attimi preziosi dai quali dobbiamo, presto o tardi, fare tesoro. Siamo frammentati, siamo scissi, in noi vivono il lupo e l’uomo, come ci racconta Hesse, in noi vive il rammarico del presente, la fuga costante dal nostro essere, il guardare sempre al passato con malinconia ed al futuro con timore. Il lupo della steppa invece affonda nelle sue viscere la ricerca di sé, liberandosi dal conformismo, dall’abitudine del dover dimostrare di essere qualcuno che non siamo, lasciando andare l’idea di unità ed accettando le molteplici facce della nostra personalità.
«I capi preparano con ardore e con successo la prossima guerra, noialtri intanto balliamo il foxtrott, guadagniamo denaro e mangiamo cioccolatini: in un’epoca simile il mondo dev’essere ben meschino».
[H. Hesse 1927]
Sostituiamo il jazz con una musica “nuova” del nostro tempo, diamole un connotato di decadenza. Purtroppo non abbiamo sostituito, a distanza di quasi cento anni la parola guerra, ma l’abbiamo sparsa nel mondo insegnandole ad essere plurale, colpendo più luoghi diversi.
Abbiamo così adattato la frase appena citata di Hesse ed abbiamo ottenuto l’immagine della nostra epoca.
Che ci rimane? Forse e come sempre delle domande, che vanno ben oltre la nostra possibilità di dare risposte e per le quali spesso ci siamo arresi. Ma non è trovare risposte la strada. La strada è iniziare a domandare di nuovo, partendo dal lupo in noi stessi, dalla nostra parte istintuale, che tutto divora e consuma, che convive con l’uomo (si spera), che tutto ammira e contempla. Non lasciamoli soli.
Buona lettura.
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