Bassista o icona Pop anni ’80?
Può essere considerato a pieno diritto entrambe le cose, Nigel John Taylor (che nella carriera artistica ha deciso di tralasciare il forse troppo impegnativo primo nome).
Nei patinati anni ’80 non si poteva far parte dei Duran Duran senza essere automaticamente un personaggio da copertina, e benché molte delle attenzioni fossero concentrare sul frontman Simon Le Bon, il nostro Taylor non passava di certo inosservato.
È forse per questa ragione che sembra aver ricevuto meno credito di quanto meriterebbe come bassista tra le fila di quella che è pur sempre una delle più celebri (anzi, “notorie“) band inglesi di tutti i tempi.
E dire che il ruolo del basso elettrico nella produzione dei Duran, e in particolare in diversi dei loro cavalli di battaglia, risulta tutt’altro che marginale: come esempio, partiamo dalla super-hit “Save a Prayer” e dalla sua melodica e intrigante bassline.
Con John Taylor il basso non fa tappezzeria
Va fatta una doverosa premessa: nel caso dei Duran Duran, l’espressione “pop” non implica necessariamente una scontatezza musicale.
Le origini della band, da inquadrarsi nel periodo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, hanno inevitabilmente risentito dell’influsso della cosiddetta Black Music precedente e contemporanea; un aspetto che è stato abilmente (soprattutto dal punto di vista commerciale) coniugato con l’improvvisa ondata synth e infine declinato in un Pop Rock più sofisticato del concetto generale.
Il vantaggio di suonare in un quintetto dove ciascun componente sta al proprio posto e nel quale non ci siano particolari virtuosismi (né, a onor di cronaca, alcuna necessità che ve ne siano) si è tradotto per John Taylor nella possibilità di esprimersi in uno stile in cui il basso è tutt’altro che uno strumento di complemento.
Groove e melodia sono ingredienti che non ci si aspetterebbe di trovare in simili quantità e qualità all’interno della produzione di una band come i Duran, intenti soprattutto a dominare il mercato discografico del proprio periodo: eppure è ciò che è accaduto in questo caso.
Influenze inaspettate all’interno dei Duran Duran
E dire che la storia di John Taylor come musicista era iniziata alla chitarra all’interno della primissima incarnazioni della band, per poi passare alle corde grosse con l’arrivo nel gruppo del batterista Roger Taylor (no, non quello dei Queen e no, nessun legame di parentela: per un periodo sono stati addirittura tre i Taylor nei Duran, nessuno imparentato con gli altri) alla fine degli anni ’70 e alla vigilia dell’esordio ufficiale.
A quel punto, John era già stato profondamente influenzato da alcuni bassisti che lasceranno il segno nel suo stile e in un certo senso anche in quello della musica del gruppo. Quando si parla di incisività ritmica e melodica nel basso elettrico, il nome di James Jamerson salta fuori praticamente da sé: non stupisce quindi di trovarlo tra quelli citati come influenti nello stile di John Taylor.
Così come non fa notizia la citazione di Paul McCartney, per nulla una questione di semplice blasone anglosassone: l’ex Beatles (al quale prossimamente si darà spazio in questa rubrica) non è soltanto un leggendario musicista ma anche un bassista solido e ispirato, da cui Taylor ha senz’altro appreso l’importanza di un buon equilibrio tra tonica e riff all’interno di una linea di basso pop efficace.
John Taylor e il “riflesso” del groove
Se molte fonti riportano però Bernard Edwards degli Chic come principale influenza bassistica di John Taylor, viene facile comprendere come mai il suo stile e in generale quello della band siano spesso così inaspettatamente funky.
Sincopato, utilizzo delle pause, fill in legato e ghost notes: sono alcuni degli elementi che, sparsi qua e là nelle performance del bassista, ne hanno definito il carattere stilistico e che hanno sicuramente contribuito a rendere più ballabile e attraente la musica ad alto dosaggio di sintetizzatori della band inglese.
Una nota di merito in tal senso va dedicata al suono. Non si contano i bassi utilizzati dal buon John nei decenni: Aria, Status, Steinberger e Peavey, tanto per ricordarci che parliamo di un bassista esploso negli anni ’80, ma anche occasionalmente marchi più blasonati come Fender, Gibson e Ibanez; recentemente è stato visto imbracciare anche un’icona moderna come Dingwall.
Ma la costante di tutti questi cambi di strumento è un sound sempre definito e incisivo, a ulteriore riprova che forse “the tone is in the hands” non è un detto così superficiale come qualcuno crede.
Il basso nei Duran Duran, tutt’altro che ordinario
L’ultimo esempio da ascoltare in questo articolo è solo in piccola parte dovuto al fatto di essere uno dei miei brani preferiti in assoluto.
In realtà ho pensato che, dopo aver raccontato le espressioni più popolari e movimentate del John Taylor d’epoca, fosse opportuno passare per un mainstream dal carattere meno datato e soprattutto più ballad.
Non che “Ordinary World“, che nel 1993 rilanciò i Duran Duran dopo un periodo di oblìo, sia un pezzo moderno; ma trovo che corrisponda in maniera più generale e senza tempo al concetto di canzone pop, rispetto alle hit che fecero grandi Le Bon e soci nel decennio precedente.
Qui bisogna aguzzare maggiormente l’orecchio, perché il mix del brano tende a evidenziare meno la parte di basso rispetto alle precedenti produzioni. Ciò nonostante, anche in questa occasione l’ascolto lascia la sensazione di una performance consapevole e decisa, pur nella delicatezza del pezzo.
John Taylor ha sempre saputo se, quando e soprattutto quanto uscire dalle righe: una fortuna non concessa a tutti i bassisti, ma anche un sano merito dell’essere un musicista vero al di là dell’estetica del personaggio.
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