HomeMusica e CulturaDischi & LibriTrovare la creatività: “Da cosa nasce cosa” di Bruno Munari
munari

Trovare la creatività: “Da cosa nasce cosa” di Bruno Munari

Sperimentare costantemente, passo passo, provare e riprovare, tessere e distruggere per poi ricominciare, per scoprire il valore del “semplificare”.

La scoperta di Bruno Munari

Tutto quello che so di Munari l’ho imparato all’asilo nido quando lo frequentava mio figlio. Entrando per gli ambienti della scuola mi resi immediatamente conto che, nascosto dietro ogni angolo, nelle pieghe di una semplice tenda decorativa, sotto la sediolina accanto ad un tavolo, vi erano mille e mille pensieri, prove, riflessioni per vedere se quell’ambiente, quell’attività da proporre ad un bambino, fosse efficace, adatta, giusta. 

Negli atelier in cui mi muovevo, in quell’ambiente circolare, fatto di centri di interesse, dove i piccoli possono muoversi liberamente, andando a cercare l’attività desiderata, notavo immediatamente la chiarezza di ogni proposta.
L’ambiente parlava, non il mio linguaggio, mediato dall’età e dalla parola, ma il linguaggio dei bambini, molti dei quali, in un asilo nido, ancora non parlano, ma comprendono perfettamente. 

Il primo anno mio figlio stava al piano inferiore della grande struttura, mentre il secondo anno era salito al piano superiore, nella sezione dei “Grandi”.
Camminava aggrappandosi al corrimano, salendo con fatica ed entusiasmo ogni gradino. Per le scale vi erano diversi quadri, di artisti famosi ed una foto enorme che ritraeva Bruno Munari. La guardavo incuriosito ed ammirato. 

Bruno Munari

Due cose colpivano la mia immaginazione, la prima era, ovviamente la grande conchiglia che teneva di fronte al volto, come un occhio nuovo; la seconda il suo sorriso, non forzato ma estremamente spontaneo; i capelli bianchi e quella capacità di divertirsi e divertire.
Salendo le scale, sulla sinistra vi era l’accoglienza dei bambini, con i loro appendiabiti, riconoscibili da un simbolo che loro stessi, ad inizio anno sceglievano; mentre a destra vi era un angolo dedicato alle attività ispirate da Munari. 

Oggetti di riciclo, di diversa natura, materiali che potevano andare dalla plastica di tubi corrugati per i cavi elettrici, a dadi e rondelle di acciaio, il tutto ben ordinato in scatole di diversa forma e colore.
Ogni oggetto era custodito e raggruppato insieme agli altri oggetti simili in una scatola. Tutto era ben in vista, disponibile ai bambini i quali potevano disporre di diversi materiali, usarli per comporre e ricomporre cose uniche. 

Delle basi di legno con dei piccoli bastoncini di legno fissati su di esse permettevano ai bambini di incastrare ed infilare gli oggetti che trovavano nelle scatole.
La cosa creata poteva essere lasciata dal bambino com’era, oppure poteva essere modificata a piacere. Non vi erano limiti, nemmeno troppe regole. L’attività si svolgeva singolarmente. 

Qualche volta mi fu permesso di osservare i bambini all’opera. Se l’attività era occupata da un compagno, nessuno vi si fermava. Quando il compagno se ne andava, solo allora qualcun altro poteva sedersi ed iniziare a giocare, a creare. Tutto questo sotto gli occhi attenti dell’educatrice. 

Una piccola magia?

A quale magia avevo assistito. Mi fu consigliato un libro, tra i molti che l’autore scrisse. Lo lessi immediatamente e fui rapito dalla semplicità del narrare, della sua capacità di condurmi attraverso diversi quesiti e problemi, senza rendere tutto troppo pesante da digerire, ma nemmeno senza edulcorare i concetti fondamentali che voleva portare alla luce.
Entrai nel mondo del design, della progettazione, delle difficoltà che un progettista può trovare nel cammino davanti a sé, per arrivare ad una soluzione efficace al suo problema. 

Partendo dalla questione di cosa sia un problema progettuale ed in quale settore del design si possa trovare, Munari inizia ad elencare, a passare in rassegna ambiti del lavoro del designer, con una sequenza di attività e settori lavorativi più o meno conosciuti.
Da dove venivano quindi gli ambiti legati all’educazione?
Cosa aveva a che fare il libro che vi sto proponendo con l’educazione, la pedagogia? Ed ancor di più a che può servire proporne la lettura in una ambito musicale? 

La mia curiosità si fece ancora più pressante e continuai a leggerlo con attenzione. L’impianto metodologico prevedeva una citazione filosofica: Cartesio.
Il papà del metodo e le sue quattro regole, lasciate in prima pagina senza spiegazione alcuna, offerte così, con tutta semplicità. 

L’autore, poi, traccia la sequenza di fasi intermedie che passano dal problema P alla soluzione S. Un ordine logico di cause e concause che si intrecciano per dare termine al cammino che porti alla soluzione del problema. Ancora non avevo risposte alla mia domanda: cosa ci fa un designer in un asilo nido?
Leggendo ancora trovai gli schizzi che si fanno per un progetto; alcuni oggetti di design analizzati nella loro funzione e fattura estetico-pratica. 

Poi, verso la metà del testo arrivò un capitolo che ha ancora oggi, in poche righe, contiene un potenziale inimmaginabile di bellezza e semplicità esplicativa, un insieme di interrogativi e questioni che non si esauriscono mai, ma che vengono lasciati dall’autore con una “leggerezza” unica ed irripetibile.
Come già detto non ha bisogno di fare molti giri di parole per spiegare un concetto, ma al tempo stesso non cerca mai di addolcirlo. 

Una breve digressione.

Negli ultimi anni mi sono appassionato alla lettura degli albi illustrati, libri di varie dimensioni, dove le storie vengono narrate attraverso immagini e le parole. Alcuni di essi sono senza parole, solo immagini, i così detti “Silent Book”, altri hanno poche parole e tavole raffigurate magistralmente. 

Si potrebbe pensare che siano testi per bambini. Tutto il contrario, sono testi per tutti. Alcuni di grande qualità, ispirati dalla volontà di raccontare storie ed emozioni, altri “confezionati” per raccontare le storielle della buonanotte ai bambini, altri ancora “confezionati” per aiutare i bambini a risolvere dilemmi universali quali il pannolino, i ciuccio o la rabbia. 

Con il tempo ho imparato a separare gli albi illustrati che hanno un fine meramente commerciale, mascherato da finalità educative, da quelli che hanno la volontà autentica di raccontare una storia.
I racconti veri, autentici li riconosci subito perché non riducono i concetti, le esperienze a narrazioni banali, ma aiutano a riflettere, pensare ed emozionano autenticamente.
I secondi spesso edulcorano e emozioni, le trasformano, fanno apparire tutto “buono e bello”, quando tutto buono e bello non è. 

Anche Bruno Munari ha raccontato delle storie, ripescando nella tradizione della favola d’infanzia. Cappuccetto Rosso diviene Giallo, Bianco, Verde, nell’immaginazione di Munari, ma non perde la sua forza educativa ed espressiva. Il lupo permane, come elemento perturbante e portante timore, paura, attenzione verso il mondo.
Perché infondo la paura non è altro che un nostro campanello di allarme, un’emozione che attiva il nostro spirito di conservazione che abbiamo naturalmente in nostro possesso, ci serve per comprendere il nostro limite, sentire se siamo in grado di esplorarlo e, provare anche a superarlo.

Bruno Munari da cosa nasce cosa

La creatività del semplificare.

Scusate la deviazione, ma ne avevo bisogno per poter introdurre il concetto che Munari inserisce nel testo di cui vi sto parlando. Si può riscrivere una storia, togliendo elementi violenti e immagini forti (il cacciatore apre la pancia al lupo ecc…), ma non togliendo il pericolo che, di volta in volta diviene qualcosa di altro, di diverso.
La potenza narrativa di Munari è questa, reinventare e riscrivere la storia per offrire un nuovo sguardo sulle cose. 

Il concetto che ancora mi tiene aggrappato alla lettura del testo, alla sua rilettura, al suo tornarvi ed infine alla scelta di parlarvene è racchiusa in un brevissimo capitolo dal titolo “Semplificare”. Munari dice questo «Semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività».
Una frase di una semplicità estrema, una sintesi perfetta che racchiude al suo interno mondi infiniti. 

Semplificare, togliere, alleggerire è un’operazione che, nel design, come in ogni altra attività che implichi la creazione di qualcosa di nuovo, necessiti di estrema creatività. Ora tutto mi è più chiaro. Ecco cosa ci fa un pittore, designer e sperimentatore di nuove forme d’arte all’interno di un asilo nido.
Attraverso la sua opera ha ispirato e guidato la progettazione degli spazi, delle attività, guidando le educatrici ed ispirandole a lavorare secondo un metodo progettuale, a togliere per semplificare piuttosto che aggiungere. 

Semplificare vuol dire chiarire il pensiero, semplificare vuol dire rendere fruibile l’attività, il gioco. Non vuol dire banalizzare o ridurre senza senso. Ecco perché per semplificare ci vuole tanta creatività, semplificare è un esercizio alla creatività.
Semplificare senza far perdere la forza alle nostre idee. 

Buona lettura.