Leonard Cohen è stato uno dei grandi protagonisti del cantautorato d’oltreoceano degli ultimi 70 anni, importante tanto quanto illustri colleghi come Bob Dylan, Neil Young, Carole King, Paul Simon etc…
La sua musica e i suoi splendidi testi hanno ispirato e continuano ad ispirare generazioni di persone, nonché di musicisti, che spesso si cimentano con i suoi brani. Come dimenticare l’esempio forse più celebre tra tutti, la bellissima interpretazione di “Hallelujah” del compianto Jeff Buckley.
A questa enorme e complessa figura artistica è dedicato il libro di Roberto Castelli, giornalista e critico musicale e conosciuto anche per essere una delle voci storiche di Radio Popolare.
Non è la prima volta, del resto, che Castelli si occupa di inquadrare grandi musicisti dei nostri tempi, ha dedicato in precedenza la sua penna a Paolo Conte, Joan Baez, Jim Morrison e i lettori più attenti dei nostri articoli lo ricorderanno per un altro libro che abbiamo felicemente recensito, ovvero La Storia del Rock in Italia.
Musicista e Poeta, genialità e contraddizioni
Dall’adolescenza alla pur sempre creativa senilità, la vita del canadese Cohen viene passata in rassegna attraverso dieci capitoli per quasi 200 pagine, un viaggio alla scoperta dell’artista e delle sue molteplici sfaccettature, dei suoi cambiamenti con il tempo e del suo incontro/scontro con il mondo circostante.
Conosciamo pagina dopo pagina sia il lato “fisico” che spirituale di Cohen, l’uomo che ha messo al centro del suo mondo la scrittura, musicale ma anche di parole che una dietro l’altra ci hanno regalato un tesoro di inestimabile valore.
Quella scrittura per cui lo stesso artista non ha esitato a sacrificare molto della propria vita.
Poeta e, come tanti colleghi, innamorato delle tante donne che sono state accanto a lui, a partire dalla storia d’amore profonda ma anche inquieta con Marianne Ihlen (da cui la canzone “So Long, Marianne”), incontrata un’estate sull’isola di Idra e a cui Leonard dedicò nel 201,6 pochi giorni prima della morte, quello struggente messaggio “Goodbye old friend. Endless love, see you down the road“.
Cohen sarebbe morto a sua volta pochi mesi dopo.
Personalità complicata – come del resto non poteva che essere – quella di Cohen, che pur essendo ben cosciente della propria arte dichiarava: “lavoro come se avessi a disposizione tutto il tempo del mondo: sono un operaio chiamato scrittore“.
E fa sorridere (e un po’, diciamolo, rincuora noi comuni mortali…) conoscere anche il suo lato timido e imperfetto, come quando al Village Theatre di NY rientrò nei camerini imbarazzato per la sua chitarra scordata…
Che non vi salti però in mente di pensare, per quanto detto finora, ad un artista umile, tutt’altro… c’è anche il Cohen Casanova e un po’ maschilista, il Cohen egocentrico, il Cohen pieno d’ira, tutti aspetti che formano quell’immagine che, se non limita certo la nostra ammirazione artistica, ci tiene – per fortuna – lontani dall’agiografia.
C’è poi, come suddetto, l’aspetto spirituale di Cohen, un mondo tutto da esplorare quello dell’uomo dalle “preghiere mormorate”, colui che a un certo punto si sottopone alla volontà di Dio e celebra il contatto con la bellezza, l’essere in grado di accettarla, sottomessi, e entrare in comunione con essa.
Il New York Times arrivò addirittura a definirlo un “ebreo attento”, come uomo di fede incline alle tradizioni della propria cultura e religione.
Allo stesso tempo, sorprendentemente, Leonard scelse per alcuni anni anche il cammino del ritiro monacale zen, un’altra strada per trovare qualche certezza – che non avrà mai – nella sfida di mettere insieme gli apparenti opposti, ovvero la carne e lo spirito, la fisicità e Dio, i desideri terreni e le aspirazioni più alte.
Una lotta costante tra sacro e profano che ha creato il vortice chiamato Cohen, un uragano pieno anche di contraddizioni e, a volte, perché non dirlo, in veloce e disastrosa rotazione intorno al solo se stesso.
In mezzo a tutto questo, come un veleno che si propaga di nascosto, la depressione, sofferta da Cohen per gran parte della sua vita e riversata spesso nelle sua canzoni, che più volte inquadrano tragicamente i protagonisti fino al più drammatico atto finale, il suicidio.
Una volta Bono Vox ha detto “Cohen è il nostro nuovo Byron“. Il che è sicuramente un attestato di stima, ma fa anche pensare al tipico eroe byroniano, un contenitore di energie positive e negative, in costante conflitto e sempre pronto a esplodere in atti anche distruttivi, costantemente inquieto in amore e nei vincoli della società.
Kurt Cobain cita Cohen nella sua bellissima “Pennyroyal Tea”, nei versi “Dammi un aldilà alla Leonard Cohen, così che io possa sospirare eternamente“
All’inizio abbiamo citato la ben nota “Hallelujah”, che oltre alla versione di Buckley vanta oltre 300 cover incise da artisti in tutto il mondo (tanto che Leonard stesso affermò “è bella, ma l’hanno cantata in troppi“).
Un libro che “tiene il ritmo”
Venendo a come è stato organizzato il libro, troviamo ancora una volta l’intelligente impaginazione usata in tutti i volumi della collana edita da Hoepli, diretta dall’inesauribile Ezio Guaitamcchi.
Abbiamo quindi moltissime foto, citazioni, ma anche una linea cronologica di accadimenti da seguire per avere chiaro cosa stesse succedendo nel mondo in parallelo alla vita dell’artista.
E poi, immancabili, gli approfondimenti, uno più interessante dell’altro, che danno spazio a tutto, da alcune curiosità a specifici e importanti episodi che meritano la digressione.
In fondo al libro c’è, infine, l’utile discografia, dal primo disco del 1967, il celebre Songs of Leonard Cohen, fino all’ultima opera postuma del 2019, Thanks for the Dance. E poi i dischi dal vivo, le partecipazioni, le compilation, etc…
Ci manca tanto la voce profonda e roca di Leonard Cohen. Quella purtroppo non tornerà, ma durante la lettura di queste pagine, forse, concentrandosi, se ne potrà sentire qualche eco.
E in ogni caso, mentre si legge, è sempre cosa buona e giusta far suonare un suo disco in sottofondo.
Maggiori informazioni sul sito ufficiale Hoepli.
Aggiungi Commento