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Consideriamo una corda tesa e fissata agli estremi, come è quella di una chitarra, imperniata da un lato sul ponticello (nut) e dall’altro sulla sella del ponte (saddle).
Quando pizzichiamo la corda, la deformiamo e ne perturbiamo la posizione rispetto all’equilibrio; quando dopo averla tesa la lasciamo andare, la perturbazione da noi introdotta comincia a spostarsi lungo la corda nelle due direzioni verso gli estremi, rimbalzando indietro quando li raggiunge.
La velocità della perturbazione dipende dalla tensione della corda e dalla sua densità lineare di massa (cioè dal rapporto fra la massa complessiva della corda e la sua lunghezza): più la corda è leggera e tesa, più velocemente viaggia la perturbazione, mentre più la corda è massiva e “lente”, minore è la velocità della perturbazione.
Il lasso di tempo che impiega la perturbazione a compiere un giro completo si chiama periodo dell’oscillazione ed il suo inverso rappresenta la frequenza della nota generata.
Ricordando che il prodotto fra frequenza e lunghezza d’onda è costante e pari alla velocità del suono nel mezzo considerato (in questo caso, alla velocità con cui viaggia la perturbazione lungo la corda), possiamo capiamo perché negli strumenti le corde che producono note con frequenza bassa e dunque con periodo alto sono molto lunghe, molto massive o non troppo tese, mentre quelle che producono note acute sono tendenzialmente più corte, molto tese e sottili.
Nel primo caso la perturbazione deve impiegare molto tempo per compiere un ciclo completo, cosa che può accadere se la corda è lunga o se la velocità della perturbazione è bassa (e quindi se la corda è poco tesa, o se è molto massiva); viceversa, nel secondo caso la perturbazione deve compiere un ciclo in un breve lasso di tempo, quindi la corda deve essere corta o la velocità deve essere alta (e dunque la corda molto tesa o molto leggera).
Una questione di modi
Il punto esatto in cui pizzichiamo la corda determina l’aspetto della perturbazione, che a seconda dei casi può somigliare ad una sorta di linea, di triangolo o di “z” viaggiante, come visibile QUI.
Tutto questo sembra molto diverso rispetto alla nostra immagine mentale di onda, con la sua tipica forma arcuata che abbiamo sicuramente visto sui libri di scuola … come mai?
In realtà per riottenere il profilo di vibrazione di una corda pizzicata (o, detta in altro modo, per riottenere esattamente il valore della deformazione in ogni punto della corda ed in ogni istante di tempo) è sufficiente sommare insieme infinite vibrazioni semplici, chiamate “modi” (o “armoniche”, sebbene i due termini non siano proprio interscambiabili), che hanno esattamente la forma ad onda che ci aspettiamo.
Il modo più importante di tutti – non a caso chiamato “fondamentale” – ha l’aspetto di una mezza sinusoide ed ha la stessa frequenza della perturbazione complessiva (cioè le due impiegano lo stesso tempo per compiere un ciclo completo); il secondo modo ha la forma di due semi-sinusoidi, per cui ha lunghezza d’onda due volte più piccola e quindi frequenza doppia (cioè oscilla due volte più velocemente); il terzo comprende tre semi-sinusoidi, ha lunghezza d’onda tre volte più piccola e quindi frequenza tripla; e così via.
I modi di una corda sono infiniti e, per quanto siano tutti diversi, condividono tutti il fatto di avere dei punti fissi agli estremi della corda: modi che prevedessero un movimento della corda ad uno o ad entrambi degli estremi non sarebbero accettabili nella ricostruzione del profilo di vibrazione, perché la corda non ha possibilità di muoversi in quei punti.
È questa richiesta a determinare la lunghezza d’onda dei vari modi, che dev’essere per forza contenuta un numero semintero di volte nella lunghezza della corda (1/2, 2/2, 3/2, 4/2, 5/2, …); per quanto abbiamo detto in precedenza, questo fissa anche la frequenza del modo, che risulta multipla intera di quella della perturbazione complessiva.
Grazie alla moltitudine di modi presenti nella vibrazione della corda, il timbro della nota prodotta pizzicando una corda è molto diverso da quello ottenuto tramite un diapason: nel primo caso abbiamo il contributo di tante frequenze diverse (tutte multiple della fondamentale, si è detto), mentre nel secondo è presente soltanto una frequenza, quella fondamentale.
Dicevamo dunque che per ottenere il profilo della perturbazione – che determina il timbro della nota – dobbiamo sommare i vari modi… ma come?
Nel caso di una corda pizzicata il contributo di ogni modo deve essere “pesato” secondo un fattore proporzionale all’inverso del quadrato del suo ordine: per il modo fondamentale il peso vale 1, per il secondo modo vale 1/(2^2)=1/4, per il terzo 1/(3^2)=1/9, per il quarto 1/(4^2)=1/16, per l’n-esimo vale 1/(n^2).
Notiamo dunque che in una corda pizzicata le componenti con frequenza più alta contano sempre meno.
Oltre al come, il dove…
Sappiamo per esperienza che la posizione in cui pizzichiamo la corda altera il timbro del suono prodotto: ciò accade perché tale posizione determina il profilo di vibrazione della corda e questo determina quali, fra tutti i modi ammissibili, prendono o non prendono parte alla somma.
Pizzicando una corda ad un terzo della sua lunghezza, ad esempio, nella somma risultano soppressi tutti i modi con ordine multiplo di tre (quindi il 3°, il 6°, il 9°, ecc.), mentre se la pizzicassimo ad un settimo della sua lunghezza sarebbero soppressi quelli multipli di 7 (quindi il 7°, il 14°, il 21°, ecc.), e così via per ogni fattore ci venga in mente.
È questo il motivo per cui una corda pizzicata vicino al ponte ha un suono molto più “spigoloso” e ricco di medie frequenze rispetto a quello di una corda pizzicata vicino alla buca: avendo pizzicato la corda – supponiamo – ad un ventesimo della lunghezza) il primo modo a mancare nella somma sarebbe il 20°, ma tutti quelli precedenti sarebbero ben presenti, arricchendo il suono di tante frequenze medie.
Viceversa, una corda pizzicata in prossimità della buca e quindi a circa un quarto di lunghezza ha un suono molto più rotondo non perché abbia qualcosa in più dell’altro, ma, al contrario, perché quello che sentiamo è la mancanza di frequenze medie dovuta al fatto che nella somma vengono a mancare tutti i modi con ordine multiplo di 4.
Effettivamente, una corda pizzicata vicino alla buca ha un suono che in parte si avvicina timbricamente a quello di un diapason, proprio perché è un suono più povero di armoniche.
Quando, anziché essere pizzicata, la corda viene percossa come dal martelletto di un pianoforte o trascinata come dall’arco di un violino, il timbro della nota prodotta e dunque il profilo della perturbazione viaggiante sono diversi rispetto a prima (vedi QUI e QUI).
Ciò che non cambia è che essa può essere sempre scomposta nelle stesse infinite componenti, che ancora una volta sono caratterizzate da una lunghezza d’onda contenuta un numero semintero di volte nella lunghezza della corda. Rispetto al caso di corda pizzicata è tuttavia diverso il fattore moltiplicativo da applicare ai vari modi per riottenere il profilo della perturbazione complessiva, che non scala più come 1/(n^2), ma secondo altre formule (sia nel caso del pianoforte che del violino ci sono tanti aspetti che entrano nella determinazione dell’esatto valore del fattore moltiplicativo).
Abbiamo dunque visto che, sebbene la vibrazione di una corda possa essere alquanto complicata e dipendere fortemente della situazione iniziale, tutto può essere spiegato facendo riferimento a concetti e forme più semplici, quali sinusoidi di frequenza ben precisa.
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