La domanda
La composizione è un’arte raffinata, un esercizio quotidiano al quale, nessun artista, può svincolarsi, qualunque sia la sua attività. Come in pittura, anche in architettura, in musica o in poesia, siamo chiamati a comporre le nostre opere, adoperandoci quotidianamente per aggiungere o togliere, per formare, deformare e trasformare l’idea di partenza, ciò che avevamo come immagine, nella nostra mente per renderlo fattivo, reale.
Anche nella vita siamo chiamati allo stesso sforzo, aggiungere o togliere, adoperarci quotidianamente per formare, deformare e trasformare un’idea di partenza. Proprio come un artista, anche se non prendiamo in considerazione è l’idea che la nostra vita, possa essere, in tutto e per tutto, come un’opera d’arte.
Mentre scrivo accolgo con riserva questa immagine, (la vita come opera d’arte) ma la tengo comunque, forse con l’idea di poterla modificare in seguito, oppure tenerla, quando rileggerò le parole appena scritte. Ho nella mente un pensiero, che sto cercando di elaborare: perché la vita di un uomo non è come un’opera d’arte?
Il capolavoro di Georges Perec, mentre lo risfogliavo, senza la precisa idea di recensirlo, mi ha risvegliato questo pensiero. Ne ho riletto l’introduzione, mi sono soffermato su alcuni brevi capitoli, senza tuttavia ricordarli bene nei particolari. Ho continuato a tenere il libro tra le mani, come se dovesse uscire qualcosa dalle pagine, come se mi dovesse rivelare qualcosa di nuovo, ma nulla.
Solo un senso di inappagatezza e sconforto. Una vertigine ed un senso di smarrimento. Piano piano arriva anche un’immagine. La vita è una serie di incastri, perfetti, attraverso i quali compongo, con piccoli tasselli, un grande puzzle. Immagine grandiosa e stupenda. Tutto il romanzo è giocato su questi piccoli tasselli, che si incastrano e formano un micro ed un macro cosmo caotico che, un coraggioso giocatore, ordina lentamente, provando a incastrare un pezzo con l’altro.
Ogni tassello è, a sua volta, una vita complicata, della quale vediamo solo una piccola parte. Un palazzo fa da cornice alle vicissitudini di eroi metropolitani, ignari di essere all’interno di un macchinoso puzzle, ignari di essere un tassello di un puzzle, che insieme ad altri da forma una delle possibili narrazioni di una vita. Sono parentesi esistenziali che si manifestano all’interno di un grande palazzo. Capolavoro letterario. Inutile girarci intorno.
L’arte del puzzle
L’arte del comporre è paragonabile al gioco del puzzle. Ogni artista ha una sua tecnica compositiva sceglie da quali pezzi partire, da come classificarli. Seleziona le pedine per forma, le raggruppa per colore. Inizia a unirle senza un’apparente logica, osservando una possibile consonanza, accorgendosi che sono pezzi che non si incastrano perfettamente.
Ricomincia e riprende il lavoro da dove lo aveva lasciato. Da un’occhiata a quell’insieme caotico di pezzi e cerca, con sensato rigore, di mettere ordine al caos. Finalmente vi riesce, in tutto o in parte. Prova continuamente. Entra ed esce dal puzzle, come i personaggi del romanzo entrano ed escono dal palazzo in cui abitano.
La loro vita, o meglio, la narrazione che li vede coinvolti, non è solo un pezzo del puzzle/romanzo costruito da Perec, ma è, a sua volta, un insieme caotico di pezzi da incastrare perfettamente, per dare forma a quel disegno che va dipanandosi nello spazio e nel tempo.
Posso solo immaginare quanti paragoni e similitudini possiamo affiancare all’immagine di un puzzle, con la musica, i cui pezzi sono le note, il cui incastro, mutevole ed “infinito”, ci consente di comporre. Come la vita, secondo l’autore, ha delle istruzioni per l’uso, così l’arte, la musica, nel nostro caso, ha le sue istruzioni. Tuttavia quel sentimento di smarrimento mi continua ad accompagnare.
Thaumazein
Provo a definirlo. Thaumazein in greco è stato tradotto con meraviglia, stupore. Nel Teeteto di Platone lo troviamo introdotto, a proposito della filosofia, affermando che essa nasce proprio dalla meraviglia, dallo stupore. Eppure la radice Thauma, riporta a qualcosa di doloroso, di profondamente disturbante. Thaumazein, allora non è solo meraviglia o stupore, ma è anche vertigine, terrore, perturbante.
La meraviglia è tale solo quando muove dal perturbante e scuote le nostre certezze, fino a farle crollare. Guardare in faccia la meraviglia ha i suoi privilegi, ma anche i suoi rischi. Anche l’arte del puzzle ha un che di meraviglioso, ed al tempo stesso di perturbante. Perec ce lo insegna. Senza troppi giri di parole, nell’introduzione, come un monito, una riflessione, una chiave di lettura ci dice che il puzzle è un gioco di incastri perfetti, il cui giocatore gioca ma non è mai solo.
Ogni incastro, ogni possibilità, ogni tentativo, sono già stati pensati, sono già stati provati da qualcun altro prima di lui, dal creatore del gioco, che per primo ha sperimentato, modificato e reso possibili l’incastro del pezzo. Eccolo il perturbante, l’idea che muove, che sconquassa. Eccola la manata in faccia che mi costringere a volgere lo sguardo.
Vita istruzioni per l’uso, forse non è altro che un modo educato e gentile di dirmi che le scelte, gli incastri perfetti, il mio mettere in ordine partendo dal caos, sono un gioco che qualcuno ha già giocato, che in un modo o nell’altro qualcuno ha già pensato, pianificato, costruito. Ed anche se non fosse così, resta la fascinazione della meraviglia, che mi costringe ad attingere da qualcosa che mi porta sempre sull’orlo dell’abisso, che mi costringe a guardarlo.
La risposta?
Stare in piedi sull’orlo di un burrone può essere una bella sensazione se non guardiamo in basso. Ma noi guardiamo perché nonostante ci abbiano avvertiti, il fascino dell’abisso, dell’orizzonte, dell’ignoto fa parte di noi. Resta ancora appesa la domanda: la vita di un uomo può essere un’opera d’arte. Forse, ma la risposta a questa domanda può essere data alle vite degli altri, la nostra, è meglio viverla.
Buona lettura.
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