Mezzo secolo di esperienza è arrivata sul palco del Pordenone Blues Festival, tanto da causare la pelle d’oca dai fan storici a quelli più giovani, nessuno escluso perché quando musica come questa risuona sui palchi, è pura energia e vitalità.
I Deep Purple arrivavano da altre due date italiane, a Parma e Macerata, ed erano passati l’ultima volta dal bel paese era nel 2016.
Prima di loro, ad aprire il main stage, si sono viste diverse band locali tra cui i SuperdownHome, con il loro rude Blues, e i PlanetHard dal tipico hard rock, band che hanno portato il loro non indifferente contributo alla serata.
Tornando ai Purple, uno strumento che ci riporta alla loro epoca è il sintetizzatore, suonato da Don Airey, una sensazione unica più difficile da trovare nelle composizioni moderne. Il tastierista, che suonava ovviamente anche un organo Hammond, si divertiva tra un brano e l’altro a intrattenere il pubblico con lunghi assoli in cui intonava melodie di Beethoven e Puccini, un gioco da ragazzi per lui.
È stata un’ora e mezza di puro e sano rock, un brano dopo l’altro, con qualche breve pausa giusto per riprendere il fiato e intrattenere il pubblico con il sarcasmo inglese che contraddistingue il frontman Ian Gillan.
Una nota amara per i fan di “Child in Time”, poiché il brano non è stato inserito in scaletta. Come lo stesso cantante affermò tempo fa in un’intervista, quel brano non è piùnelle sue corde vista la vertiginosa altezza delle note.
Nonostante ciò, Gillan ha eseguito altri brani di altrettanto difficile interpretazione, come gli scream di “Highway Star” e la forza vocale di “Space Truckin”.
Non è mancato il classico “Lazy”, un bel concentrato di parti strumentali e vocali, in cui Gillan ha imbracciato anche l’armonica.
Dal punto di vista strumentale, tanto di cappello al nuovo chitarrista entrato a far parte della band nel 2022, Simon McBride, protagonista di molte parti solistiche che durante la serata sono state applaudite dal pubblico.
Tra le altre cose, Simon è endorser di PRS, difatti sul palco si son viste apparire alcune delle chitarre tra cui il modello 408 e la Hollowbody, una chicca per gli appasionati di 6 corde.
Note di merito per i brani “When a Blind Man Cries” e “Anya” dove la parte strumentale, oltre che vocale, ha lasciato il segno.
Dall’album Whoosh del 2020 è stato eseguito il brano “No Need to Shout”, l’unico pezzo di recente pubblicazione inserito nella scaletta del tour italiano.
Tantissimi i giovani presenti al concerto, buon segno che le nuove generazioni sanno ancora ascoltare la buona musica.
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