18 (anzi 19!) anni fa gli Wilco tracciarono un profondo segno sulla parola "alternative" per il nuovo millennio, segno che ancora oggi è vivo e ben visibile.
18 (anzi 19!) anni fa gli Wilco tracciarono un profondo segno sulla parola “alternative” per il nuovo millennio, segno che ancora oggi è ben visibile.
Ci sono due espressioni che possiamo associare agli Wilco. Una è Alternative Rock e personalmente sogno il giorno in cui qualcuno riuscirà davvero a spiegarmi come sotto questa bandiera si possano schierare band e artisti tra i più diversi, a volte agli antipodi.
L’altra, come suddetto nel titolo, è “post“.
Termine, o meglio prefisso, che ancora di più si associa a questo Yankee Hotel Foxtrot.
Post Rock. Post 11 settembre. Post… ma che importa…
Ciò che importa davvero è che si tratta di un disco stupendo e che, nonostante sia il disco più venduto della band, ancora oggi deve essere probabilmente scoperto da molte persone.
Vista anche l’occasione offerta da recenti ristampe, approfittiamone…
È un album che segnò anche un cambiamento per gli Wilco stessi, che riuscirono a ricavarsi una nuova veste sotto l’ombrellone della parola “sperimentale”, spesso rischiosa e difficile da riempire di contenuti, per quanto nascosti.
In questo caso di sostanza ce n’è e tanta.
Lasciatevi trasportare da ballate solo apparentemente spensierate, dalle dolci atmosfere di “Ashes of American Flags” (I wonder why we listen to poets when nobody gives a fuck…) o dal crescente impeto lo-fi di “Poor Places”, uno dei miei brani preferiti.
Buon ascolto!
Yankee Hotel Foxtrot, ovvero l’album “post”
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