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L’ultimo fill del grande Neil Peart

Il batterista del trio rock-progressive Rush se n'è andato lo scorso 7 gennaio, a 67 anni d'età, a Santa Monica, in California, dopo una lunga e sfortunata battaglia contro un tumore al cervello. 

Il batterista del trio rock-progressive Rush se n’è andato lo scorso 7 gennaio, a 67 anni d’età, a Santa Monica, in California, dopo una lunga e sfortunata battaglia contro un tumore al cervello. 

Il lavoro del batterista consiste al 99% nel sostenere il resto della band con il suo groove.
Ci sono artisti che riescono a sfruttare quell’1% lasciato alla loro creatività e al loro estro solistico per dare vita ad alcuni fill – i ‘passaggi’ utilizzati per agevolare la transizione di un brano da una sezione all’altra – che finiscono per diventare parte integrante della composizione stessa: basti pensare ai fill di Peart su un brano come “Tom Sawyer“, ciascuno dei quali rappresenta una mini composizione a sé. 

Non per niente in un’intervista del 2015 Stewart Copeland dei Police aveva detto che Neil era il batterista i cui fill erano i più air drummed di tutti i tempi (avete presente quando qualcuno, assistendo a un concerto o ascoltando la musica, simula un ‘lancio’ di batteria mimando l’atto di percuotere?).
Per non parlare poi dei lunghi e complessi assolo che Peart eseguiva a ogni concerto dei Rush: un momento strutturato, arrangiato e costruito con logica e intensità assolute, tale da rappresentare uno dei momenti top di ogni esibizione del trio canadese.

Una band, quella dei Rush, cui Peart era approdato dopo un’audizione nel 1974, con cui ha inciso 24 album d’oro (14 dei quali di platino), e cui, oltre a suonare piatti e tamburi, componeva tutti i testi.
Quello per la batteria non era infatti l’unico talento di The Professor (questo il suo soprannome), che era anche uno scrittore di grandissimo talento, autore di diversi libri di discreto successo, il primo dei quali è stato nel 1996 The Masked Rider: Cycling in West Africa, diario di un viaggio in bicicletta fatto in Cameroon nel 1988. 

La scrittura e i viaggi solitari in moto, in sella alla sua amata BMW, erano probabilmente per il batterista anche un modo per interiorizzare le vicende di una vita privata segnata da diverse tragedie: persa la figlia Selena in un incidente d’auto nel 1997 e la prima moglie Jacqueline pochi mesi dopo per una malattia incurabile, Peart abbandonò i Rush e partì per un solitario tour motociclistico degli Stati Uniti, il cui racconto venne successivamente riportato nel libro Ghost Rider:
Travels on the Healing Road. Rientrato nella band nel 2002, aveva annunciato per la seconda volta il suo ritiro nel 2015, a causa di una tendinite cronica.  

Nato il 12 settembre 1952 a Hamilton, nello stato dell’Ontario, in Canada, Peart era cresciuto a Port Dalhousie, un paesino in provincia di Toronto, e aveva iniziato a suonare la batteria sin da bambino. 

Così ha raccontato la sua folgorazione per la batteria e i suoi studi iniziali con George a Roberto Baruffaldi in una bellissima intervista rilasciata al mensile Percussioni pubblicata nel marzo 2006: “Gene Krupa è stato il primo e unico batterista la cui storia sia stata rappresentata in un film, e più di 40 anni fa, prima che io avessi toccato un paio di bacchette o saputo cosa fosse un rullante, ho visto The Gene Krupa Story a tarda notte in televisione (…). Ricordo di aver pensato: ‘Voglio farlo’. Ho iniziato a prendere lezioni a 13 anni e il mio primo insegnante fu Don George al piano superiore del Peninsula Conservatory of Music, con una batteria muta e i piatti sordinati. Dom mi ha trasmesso un bel po’ di nozioni sulle techiche di base, i rudimenti, la lettura a prima vista. In ogni caso, la più importante influenza che Don ha avuto su di me è stata il suo incoraggiamento, il solo fatto di dirmi che un giorno avrei potuto essere un batterista (…)“. 

Quando George smise di insegnare in quell’istituto, 18 mesi dopo, il giovane Neil continuò a studiare per un breve periodo con gli insegnanti che lo avevano sostituito, ma “senza ricevere alcuna ispirazione (…). Alla fine ho continuato da solo, imparando dai batteristi che sentivo alla radio o che suonavano nei gruppi locali. Suonare dietro alla radio che trasmetteva i maggiori successi commerciali (…) verso la metà degli anni Sessanta significava suonare assieme a Hal Blaine (…). Hal avrebbe ovviamente rappresentato una grande influenza per il mio primo periodo di sviluppo e formazione”. 

Oltre ad aver subito l’influenza ‘inconscia’ di Blaine, Peart non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per il mitico Keith Moon della band The Who, anche se: “sono stato influenzato da Keith Moon quando ero un ragazzino, ma il mio carattere mi ha imposto uno stile molto più ponderato e organizzato“.      

A diciotto anni Peart si trasferì in Inghilterra, intenzionato a costruirsi una carriera nell’ambiente musicale, ma solo due anni dopo fece ritorno a Toronto.
Nel 1974, dopo aver suonato in varie band locali e fatto mille lavoretti per mantenersi, il batterista sostenne un’audizione per poter sostituire John Rutsey nei Rush (formati dal cantante e bassista Geddy Lee e dal chitarrista Alex Lifeson), e il resto, come si suol dire, è storia.
Una storia sfavillante, fatta di straordinari successi e di altrettanto straordinarie performance, basti pensare a brani quali “Free Will“, “Limelight” o “Subdivisions“, il cui ascolto ha spinto intere generazioni di batteristi a prendere in mano le bacchette, o alla sua maestria nel far suonare lisce come l’olio delle composizioni caratterizzate da ritmiche dispari. 

Non deve sorprendere quindi che Peart sia risultato il terzo miglior batterista di tutti i tempi nel referendum promosso nel 2014 tra i suoi lettori dalla rivista USA Modern Drummer, piazzandosi dietro soltanto a John Bonham dei Led Zeppelin (secondo) e a Buddy Rich.
Quest’ultimo ha ovviamente rappresentato un’altra fonte di ispirazione per il musicista canadese, che nel 1994 ha prodotto un album tributo intitolato Burning for Buddy, seguito da un secondo capitolo nel 1997, cui hanno partecipato alcuni dei migliori drummer allora in circolazione.
Numerosi anche i metodi didattici su carta, VHS e DVD firmati dal musicista canadese, noto anche per le sue posizioni pubbliche a favore dei diritti umani e per le numerose iniziative filantropiche per raccogliere fondi a favore dei più sfortunati.

Da sottolineare come Peart abbia sempre continuato a studiare e a cercare di migliorarsi come batterista, tanto che a metà anni ’90, con alle spalle già una trentina di anni passati a suonare piatti e tamburi, su consiglio di Steve Smith si affidò alle cure batteristico/filosfiche del guru Freddie Gruber.
Come la sua tecnica, anche i suoi strumenti hanno continuato a evolversi nel tempo, facendosi sempre più monumentali e sofisticati, ricchi di suoni percussivi ed elettronici. 

Oltre a milioni di fan, Neil Peart lascia la seconda moglie Carrie Nuttal e la figlia Olivia. 

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