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La musica che ci ha accompagnato nel 2019

Stefano Tavernese ha scelto Leo Kottke con l'album 6 & 12 String Guitar (1971)Lo so, non è un album del 2019, ma io l’ho riscoperto quest’anno. Non ascoltavo Kottke da tempi molto lontani e imbattermi in "Vaseline Machine Gun" in TV, nella soundtrack di non-ricordo-più-cosa, mi ha steso di nuovo. Qu

Il 2019 è ormai agli sgoccioli: come di consueto alcuni componenti del nostro staff vanno a tirare le somme sui propri ascolti preferiti di questi 365 giorni.

Naturalmente limitarsi a riassumere un anno di preferenze sarebbe una pratica assai complessa: chi come noi vive di musica è letteralmente bombardato da stimoli quotidiani di ogni genere, che si tratti di vecchie conoscenze così come di novità appena incontrate, e ci sarebbe dunque ben più di un singolo nome da spendere.
Ci siamo quindi concentrati nel dare una risposta al semplice quesito: quale artista abbiamo scoperto (o riscoperto) nel 2019? Lasciamo la parola ai nostri collaboratori.

Stefano Tavernese ha scelto Leo Kottke con l’album 6 & 12 String Guitar (1971)

Lo so, non è un album del 2019, ma io l’ho riscoperto quest’anno. Non ascoltavo Kottke da tempi molto lontani e imbattermi in “Vaseline Machine Gun” in TV, nella soundtrack di non-ricordo-più-cosa, mi ha steso di nuovo. Questo buffo personaggio sordo da un orecchio e dotato di uno humour fantastico ha veramente cambiato il mondo della chitarra acustica mezzo secolo fa.
Il suo stile fingerpicking potente e aggressivo, soprattutto sulla 12 corde era più rock di molte band dell’epoca e quando è uscito questo disco nel 1971, per l’etichetta di un altro personaggio chiave della chitarra che era quel fuori di testa di John Fahey, ha lasciato un segno permanente.

Tanti aspiranti fingerpicker in seguito si sono fatti le ossa su “The Fisherman“, ma nessuno ha mai eguagliato la carica ritmica e il suono unico di pezzi come “Busted Bycicle“, “Coolidge Rising” e la suddetta “Vaseline”. Leo era capace anche di passare a momenti di grande liricità e non si tirava indietro neanche davanti a Bach, ma quello che a me rimane di più è la capacità di rendere l’acustica appetibile anche ai più sporchi rockettari. Grandissimo. 

Antonio Cangiano ha scelto Better call John con l’album Ippopotminaetnintopen (2019)

Un album come quello di Giovanni Tammaro (in arte John, in questo caso Better call John) è una di quelle cose che hanno più chiavi di ascolto per i fattori più disparati e per le scelte artistiche che in molti casi contraddistinguono un musicista, un autore, o molto più banalmente, una persona.
Un disco come questo va ascoltato perchè è irriverente, perchè è diverso nel vero senso della parola, perchè è divertente e perchè ha molta cultura al suo interno.

Per scelta personale, Giovanni decide di intraprendere la sua strada in un genere che nel suo luogo natio non gli permetterà di calcare grandi scene, ma che però gli permetterà di mettere una pietra musicale su questa terra recitante “questo sono io“.
Brani come “Havona Pompilova“, “Figlio di becchino“, “Oh Mosè“, sono oggi una ventata di aria fresca in un ambiente musicale che sembra essere sempre più vicino alla figura della livella raccontata dal Bizantino Principe.

Alfredo Romeo ha scelto Sirkis/Bialas IQ con l’album Our New Earth (2019)

Tra le mie personali “rivelazioni” musicali del 2019 un posto di rilievo lo occupa senz’altro il nuovo album della band Sirkis/Bialas IQ, quartetto co-diretto dal batterista israeliano Asaf Sirkis e dalla cantante polacca Sylwia Bialas. Completano la formazione due musicisti inglesi, il pianista Frank Harrison e il bassista (a sei corde) elettrico Kevin Glasgow.

La musica proposta è paragonabile a un piatto prelibato le cui materie prime, le spezie e i condimenti provengono da tradizioni culinarie assai diverse e distanti. Un affascinante mix, una fusion nel più alto senso del termine di jazz, rock, classica, progressive music, folclore polacco, ritmi mediorientali e konnakol indiano.
Una miscela apparentemente esplosiva e “folle”, che però miracolosamente funziona: merito del ricorso a strumenti inconsueti, dall’organo a canne al waterphone, di un uso della voce spesso e volentieri non convenzionale da parte di Sylwia Bialas, ma soprattutto dell’incredibile sensibilità ritmica di Asaf Sirkis e della sua capacità di combinare ritmi di origine mediorientale, di cui è esperto, con un approccio più “occidentale”, cui di recente ha aggiunto anche la passione per il konnakol indiano.

Scrive opportunamente il grande Bill Bruford nelle note di copertina che dai gruppi guidati da un batterista di solito ci si aspettano più “fuochi d’artificio” che creatività. “Ma con Sirkis dietro alla batteria siamo in buone mani (…). Tutto ciò che non è essenziale all’espressione non ha diritto di cittadinanza; le preoccupazioni tecniche svaniscono quando le prestazioni individuali sono perfettamente connesse al disegno generale nel momento interpretativo. La sua idea di dimenticare ciò che si ha studiato descrive chiaramente l’approccio creativo dei navigati musicisti jazz che si ascoltano in questo album“.

Un disco decisamente attuale, che si ispira ai grandi cambiamenti che si sperimentano oggigiorno sia a titolo individuale sia a titolo collettivo, tra lo strapotere della tecnologia, l’impazzare dei social media e i mutamenti nel mondo del lavoro, per non dire di quelli climatici, a tutti evidenti ma non – purtroppo – ad alcuni potentissimi uomini politici. Un album all’insegna della contaminazione e della pacifica e feconda convivenza tra culture musicali diverse.
L’ennesima gemma pubblicata da un’etichetta coraggiosa, la Moonjune di Leonardo Pavkovic, instancabile scopritore di talenti e grande appassionato di musiche di confine.

Elisabetta Costanza ha scelto Emilio Stella con l’album Suonato (2018)

Ho sentito per la prima volta questo cantautore durante l’opening di un concerto di Simone Cristicchi quest’estate. Devo ammettere che non sono una fan di questo genere musicale e amo la musica d’autore più esortativa e sognante rispetto a quella “sociale”.
Ma questo, devo dire, è stato immediatamente colpo di fulmine: dietro a uno stornello un po’ sornione Emilio nasconde profondi spaccati evocativi di una città logorata, piccole storie di eroi quotidiani che sfilano sotto i nostri occhi spesso distratti dalle incombenze e frustrazioni quotidiane. Angoli nascosti di una Roma che sembra dimenticata, ma che invece è sempre lì, a ricordarci di entrare a contatto con l’essenza più vera delle cose.

Vi lascio con le parole di una sua canzone “Canterò per chi almeno un po’ sogna come me e viaggia dentro sé” (Gli alieni siamo noi). E voi? Siete pronti per questo viaggio?

Mirko Testa ha scelto Michael Kiwanuka con gli album Kiwanuka (2019) e Love & Hate (2016)

Tra i nomi più hot del momento“, “il soulman del XXI secolo“… quando ci si imbatte in questi titoloni altisonanti affibbiati a un artista, la prima reazione è sempre quella di fare scroll. Il più rapidamente possibile.
A Michael Kiwanuka ho voluto, invece, dare una possibilità. Perché già uno che paragona il suo ultimo album a una Kodak, facendo un’apologia del recupero della realtà tattile e della bellezza dell’imperfezione analogica come reazione alla cultura dello scarto programmato, merita un anticipo di simpatia.

Londinese di origini ugandesi, Michael Kiwanuka riesce a impastare in maniera originale atmosfere sospese attingendo alla migliore tradizione soul, jazz, funk e psichedelica. Come guida all’ascolto per la fine dell’anno, immergetevi da subito nella struggente mini suite “Cold Little Heart” (da Love & Hate) e se avete proprio voglia di tirare qualche somma sul 2019, ascoltate “Piano Joint” (in Kiwanuka), perché “looking out for something new / It’s the right time to give in / The right time to lose / To begin again / Maybe win again“.


Mattia Mei ha scelto Gomma con l’album Sacrosanto (2019)

In questi mesi li ho sentiti appellare in tanti modi: punk, emo, indie, o gum-wave come loro stessi si definiscono. Per me le etichette contano il giusto, e ciò che importa è che questi ragazzi originari di Caserta propongano in maniera convincente della musica originale in lingua italiana dalla massiccia base chitarristica, sostenuta da una consistente sezione ritmica e caratterizzata da una voce femminile inconfondibile e assolutamente adeguata a musiche e temi affrontati.

Lo ammetto, ho trovato una cattedrale mentre facevo il giro delle chiesette. Mi ero riproposto di farmi una cultura sul cosiddetto indie italiano e sono banalmente incappato in una playlist a tema su Spotify: tra i tanti ascolti della lista (nella quale, a onor del vero, non ho trovato solo roba per me da skippare, come invece temevo) i brani selezionati da Sacrosanto spiccavano come un grattacielo nel deserto.

I Gomma raccontano storie di provincia ma tutt’altro che semplici. Le atmosfere sono cupe e a tratti rabbiose, ben lontane da qualunque scintillio della ruralità italiana, fanno pensare piuttosto a oscuri paesini persi nelle nebbie e in un gelo di tutt’altre latitudini; anche quando si parla di relazioni, tutto risulta intriso di disincanto, privo di qualunque accenno a facili e patinati romanticismi.
Merito delle liriche (che non possono davvero non far pensare a un vissuto personale), merito come detto dell’accattivante vocalità di Ilaria, merito di una sezione strumentale che non si risparmia mai, essendo in grado di regalare anche bellissimi momenti di sospensione dal sapore sognante tra la tanta grintosa saturazione degli ampli, in una produzione di qualità dal sound vecchia scuola davvero apprezzabile per chi ama il contesto (menzione particolare per il ringhiante basso di Matteo, un bel Rickenbaker a quanto se ne sa).

In definitiva, nel sempre più scarso panorama di musica a base di chitarre fa sempre piacere trovare un gruppo giovane che investe efficacemente le proprie energie restando nel grande abbraccio del Rock e tenendosi alla larga da certe studiate e noiose tentazioni stilistiche dell’indie (sempre ammesso che il termine significhi ormai qualcosa di esatto) dei nostri giorni. Teniamo duro e avanti tutta!

Alessandro Teruzzi ha scelto Oz Noy con l’album Schizophrenic (2009)

L’artista che ho scoperto in questo 2019 è Oz Noy, chitarrista israeliano del ’73, l’album in questione è Schizophrenic ed è del 2009; un po’ datato quindi, nel frattempo l’artista ha dato alla luce altri lavori.

Mi sono soffermato su questo perché ha tutte le componenti che amo in questo momento in un chitarrista: ritmo funk, armonie jazz/fusion e suono blues.
Nove tracce tutte completamente diverse ma con un unico comune denominatore: il groove. Questo album vede anche la collaborazione di Steve Lukather!
Lo consiglio vivamente a chi come me è desideroso di nuove sonorità e sperimentazioni!

Salvatore Pagano ha scelto Glen Hansard con l’album This Wild Willing

Dovendo scegliere un/a artista per il 2019 non ho il minimo dubbio a fare un nome arrivato oramai a mio parere a un passo – se non compirà errori grossolani, ma non credo – da poter essere una star conosciuta in tutto il mondo, Glen Hansard.
Con il suo This Wild Willing, di cui vi ho parlato in una mia puntata di Ti Consiglio un Disco, ha dimostrato non solo di aver messo a frutto il suo passato, ma di avere la forza e le qualità artistiche per cambiare rotta senza rinnegarsi, creare opere diverse ma comunque non così lontane dal suo stile.
Ha dimostrato soprattutto di poter assimilare da altre culture, senza restarne schiacciato in un mero tentativo di mettere a forza la spezia sbagliata nella ricetta tradizionale.

Quest’anno Glen ha pubblicato un gran bel disco, ben scritto, prodotto, arrangiato e anche ben registrato. Ha percorso in lungo e largo tanti Paesi (in Italia nuovamente al seguito di Vedder) facendo dei concerti di quelli da “vecchia scuola”, in cui sul palco restano le pozze di sudore e te ne esci con il sangue sui polpastrelli e la gola in fiamme ma sicuro di aver dato il 110% al pubblico. E per questo ha preso ovunque applausi e ovazioni, a volte risultando avere più energia dei cosiddetti “headliner”.

Il mondo ha bisogno di cantautori
, nuovamente. Ha bisogno di questi musicisti vecchia scuola, che salgono sul palco con una chitarra a tracolla e un riflettore puntato e fanno più spettacolo di coloro che si nascondono dietro i maxischermi e i fuochi di artificio.
Il mondo ha bisogno di musicisti come Glen Hansard e dei loro dischi, delle loro storie. Non più emergente da molto tempo, ma neanche mainstream da sold out negli stadi, Hansard riempie splendidamente un vuoto che può spingere nuovi talenti a scommettere più su se stessi e magari anche qualche proprietario di live club a inserire musicisti che non facciano solo ballare i clienti del bar, ma che scrivano canzoni e le propongano nella loro totale purezza, come si è sempre fatto.

Filippo Andreacchio ha scelto Kim Gordon con l’album No Home Record (2019)

I Bambini sono affamati. Dopo 38 anni di musica Kim Gordon decide con amore materno di fare un disco da solista e porta in tavola nove “portate” in grado di sfamare gli appetiti più esigenti. Giochiamo subito a carte scoperte: sono uno cultore dei Sonic Youth, quindi è semplice subire un’attrazione fatale per ogni “manicaretto noise” sfornato in casa Gordon-Moore.

Sono passati quasi 13 anni dal mio ultimo concerto dei Sonic Youth e mi porto ancora dentro l’immagine di Kim con il marito Thurstoon Moore insieme alla figlioletta Coco, tutti intenti a giochicchiare dietro lo stage delle Capannelle di Roma, in attesa di un live dedicato interamente all’esecuzione dell’album Daydream Nation, e nemmeno un brano di Dirty, ad esempio, o un timido accenno a qualche pezzo cazzuto da Washing Machine, diamine!

Non è però dei Sonic che voglio parlare (tra l’altro il matrimonio tra Kim e Thurston è andato in malora già da un po’), ma del disco “No Home Record”, uscito nell’ottobre del 2019 per la Matador record. Certamente dentro ci troviamo diluiti ottimi “concentrati sonici” ma siamo al cospetto di una via nuova, elettrificata, riconoscibile e delicatamente sofisticata: un vero e proprio sketch d’artista.

Ma non ho intenzione di scrivere nulla che possa somigliare a una recensione: sarebbe troppo prevedibile e nostalgicamente viziata. La mia è una segnalazione di fine anno, con la lusinga piacevole di poterla fare sulle pagine della grande famiglia Musicoff, e non in pizzeria, con i soliti amici che ti ascoltano farneticare di musica, anche dopo il terzo giro di birra (artigianale)!

E adesso tocca a te che leggi: facci sapere la tua scelta nei commenti qui sotto!