Nel panorama globale di tutti gli strumenti musicali, è indubbio che la chitarra, oltre a essere lo strumento più diffuso e versatile, risente molto della personalità del chitarrista e di espedienti e variabili che ne rendono unico e riconoscibile il suo esecutore. Vediamo i principali ingredienti di questa ricetta, attraverso un percorso di riflessioni.
Il suono e l’attrezzatura
Indubbiamente non potremmo confondere il sound di Wes Montgomery con quello di Paul Gilbert oppure quello di Segovia (eseguito ovviamente con una chitarra a corde in nylon) con la Telecaster di Albert Lee.
I paragoni “impossibili” potrebbero essere pressoché infiniti, non solo per l’ovvia proprietà di linguaggi che differenzia il modo di suonare di ognuno, ma anche per il tipo di attrezzatura utilizzata: una Les Paul in un Marshall produce qualcosa di profondamente diverso di una Martin ripresa da un microfono a condensatore.
Nell’attrezzatura ci sono elementi che creano delle “macro scelte”, come ad esempio single coil vs humbacker, così come acero vs mogano. Allo stesso modo valvolare e transistor o simulazioni dal cyber spazio della chitarra amplificata virtualmente. Poi, in un secondo momento, si entra nel merito di un livello intermedio, ma non per questo meno importante: i pedali, ovvero ciò che sta tra la chitarra e l’amplificazione.
Infine si entra in particolari che poi in realtà, nella moltitudine di possibili scelte e variabili, non sono “particolari” di poco conto: le corde, il plettro, i cavi e l’interazione con l’ambiente, che rifiniscono il tutto, rendendo unico il confezionamento del nostro suono.
Il chitarrista
Anche il chitarrista è una sorta di “attrezzo”, che con l’educazione meccanica dei movimenti del proprio corpo, è in grado di riprodurre e inventare musica. Da qui si evince che le diverse caratteristiche fisiche di ogni chitarrista influenzeranno il suo modo di suonare, facendogli trovare diverse soluzioni e talvolta compromessi col proprio strumento.
Basti pensare alle diverse lunghezze delle dita!
Attenzione, dita lunghe non vuol dire “musica migliore”: sicuramente, per alcuni tipi di performance possono essere auspicabili, ma al contempo dita corte fanno trovare soluzioni differenti, per esempio con diteggiature più verticali o precisi spostamenti di posizione lungo il manico.
Ad ogni modo rimane un fatto note e assodato che la fisicità conta in tutti i sensi, creando variabili che fungono da strade da percorrere poi con la creatività e rendendo il tutto musicale e comunicativo.
Non di minor importanza, la statura di una persona, che involontariamente cambia le variabili di come si imbraccia lo strumento e di come si articolano le braccia verso di esso. Facendo riferimento all’ambito hard e rock, pensiamo per esempio a come tiene bassa la chitarra Slash rispetto a John Petrucci.
Senza contare l’enorme differenza tra suonare in piedi o seduti!
Certo, con la pratica il nostro corpo si adatta e a un certo punto trova la sua zona di comfort. Molte volte necessita di tempo per educare un certo movimento, altri momenti saranno dedicati alla ricerca della propria strada, ma in ogni caso il nostro corpo rimane nella sua “meccanicità” uno strumento fondamentale nella produzione del suono, non dimentichiamocelo!
L’ascolto e lo studio
Come cita il detto che “Siamo ciò che mangiamo”, con la musica potremmo dire che “Suoniamo ciò che ascoltiamo!“. In effetti il nostro essere, sentire, percepire e compartecipare nella musica, dipende e indubbiamente comincia dall’ascolto: è questo che ha attirato molti di noi verso la musica, al punto di praticarla attraverso uno strumento.
Tutti ascoltano musica, alcuni la fanno e nel praticarla si crea involontariamente l’altro ingrediente, che è lo studio. Musicalmente, quindi, siamo fatti di ciò che ascoltiamo e per alcuni di noi a questo si aggiunge lo studio, componente imprescindibile dalle proprie influenze.
La musica che abbiamo compreso, studiato, codificato e appreso sensibilmente nota per nota, fa parte di noi, dove fortunatamente si rimescola e si fonde nella nostra personalità.
Il pensiero musicale
L’ascolto e lo studio, visti precedentemente, sviluppano quello che io definisco “pensiero musicale“, cioè la possibilità di pensare direttamente in melodie, ritmi e armonie, senza attenersi strettamente alle regole. Di fatto quando un linguaggio è appreso, viene poi utilizzato come veicolo di comunicazione, senza più passare dalle regole: pensi a quelle note con quel ritmo, per un certo arrangiamento.
Il pensiero musicale è l’essenza dell’essere musica e sentirsi compartecipi al 100%. Ognuno di noi prova gradi di coinvolgimento differenti. Lo studio e la pratica aiutano enormemente lo sviluppo del pensiero musicale e non dimentichiamoci quindi che ognuno di noi ne è dotato
La dinamica e la sensibilità
Questo pensiero musicale, oltre che in possibili scelte ritmiche, armoniche o melodiche, si traduce nella personalità attraverso “il carattere musicale” espresso attraverso le dinamiche e gli accenti.
L’uso della dinamica è fondamentale in qualsiasi esecuzione: la percezione di differenza nel volume, infatti, permette di enfatizzare attacchi o viceversa di attutire un suono, ottenendo diversi colori intanto che si miscela con altri strumenti.
La dinamica è il sale della musica, l’enfasi viene anche aumentata con il controllo degli accenti, sia quelli impliciti nel groove e nel ritmo che si sta portando, tanto quanto quelli scelti in fase di arrangiamento per enfatizzare precisi momenti del brano.
Indiscutibilmente dinamiche e accenti sono due elementi di studio imprescindibili nella formazione di uno strumentista, ma nello stesso tempo risiedono nella più stretta personalità e fanno quindi parte della sensibilità soggettiva, che varia da musicista a musicista.
L’interpretazione e la personalità
Eccoci a quello che ho pensato come ultimo punto di questo percorso. La sensibilità nelle dinamiche e negli accenti, oltre ovviamente a tutto ciò che si è detto precedentemente, porta a costituire la personalità di ogni praticante musicale, nel suo modo di interpretare la musica, che sia “La Canzone del Sole” con tre accordi o l’ultimo brano di Steve Vai.
Ognuno di noi avrà involontariamente subìto e anzi molte volte ricercato, molteplici fattori che portano a costituire la personalità musicale. Poi sappiamo che in questa soggettività subentrano fattori personali nell’essere più o meno sensibili, appassionati, in termini forse un po’ riduttivi si dice “portati per la musica”, perché in fondo di necessità si fa virtù e in qualche modo, se c’è la passione nel perseverare, a ognuno è data la possibilità di fare musica.
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