Tempo di regali e di bilanci, a Natale finiamo spesso per cercare il nostro “Disco dell’anno“: anche nel 2018 abbiamo raccolto le preferenze del nostro staff.
Riflettere su un anno di ascolti non è mai facile, men che meno lo è dover scegliere qualcosa che durante l’arco dei 365 giorni ci rappresenti al meglio o che ci abbia accompagnato più di altro durante le attività quotidiane (e non) nell’anno che è agli sgoccioli. Noi come sempre proviamo a dare qualche spunto, anche in considerazione dell’incombere dei temuti regali natalizi, con la speranza di poter regalare qualche valida alternativa ai tradizionali tormentoni musicali.
Lasciamo dunque spazio ai nostri (undici) dischi da consigliare per il 2018, ma ovviamente aspettiamo di leggere anche le vostre scelte.
Judas Priest – FIREPOWER
Consigliato da Filippo Andreacchio
Rob Halford e compari si confermano la band più longeva dell’heavy metal dal “british cut”. Questo nuovo album è un concentrato di toni e ritmiche che dimostrano l’importanza della “buona scuola”, con tanti spunti da cui attingere se suoni, altrimenti zitti e ascoltate.
Tutto questo non è solo sorprendente per una band che sta per compiere mezzo secolo e spacca ancora decisamente, ma anche doveroso, perchè Giuda è tosto e non molla, stenta a pentirsi ma il confessore non si arrende, tallona e regala ritmi da headbanging… naturalmente non fatelo sotto l’albero!
Stone Temple Pilots – STONE TEMPLE PILOTS (2018)
Consigliato da Mattia Mei
Una band con la non certo invidiabile particolarità di aver perso in maniera prematura e tragica i due ex frontman: quello storico, Scott Weiland, nel 2015, e il suo sostituto celebre Chester Bennington l’anno scorso. Eppure gli STP non mollano: reclutato Jeff Gutt (un curioso passato tra metal e talent show) nel ruolo di vocalist, pubblicano un nuovo self-titled album (dopo il precedente del 2010) dal neanche tanto celato auspicio di rinasciata e lo portano in tour con la stessa energia dei dorati anni ’90.
Chi con troppa facilità decreta la morte del Rock dovrebbe a mio parere concedere un ascolto a questo album. Durezza e melodia si incontrano spesso in un equilibrio assolutamente efficace, lasciandosi reciprocamente il dovuto spazio tanto nelle ballad (come la toccante “The Art of Letting Go“, con il suo assolo di chitarra che riecheggia fortemente influenze di altri generi musicali) quanto nei pezzi più rocciosi.
La maturazione musicale dei fratelli Dean (chitarra) e Robert DeLeo (basso), adeguatamente supportati dal batterista Eric Kretz, appare finalmente completa, e il nuovo cantante si adatta bene al contesto per capacità, caratteristiche vocali e attitudine.
L’augurio è che questa rinascita sia effettiva e che i ragazzi riescano a trovare la continuità e la serenità che meritano come musicisti.
John Coltrane – BOTH DIRECTIONS AT ONCE: THE LOST ALBUM
Consigliato da Salvatore Pagano
Per quanto forse scontato, sarebbe a dir poco imbarazzante non includere questo album uscito proprio quest’anno nella lista degli ascolti consigliati, è la prova di quanto ancora abbiamo da scoprire negli archivi perduti della musica e, ne sono convinto, sono più di quelli che immaginiamo (anche se non sempre frutto di operazioni di recupero di buon gusto come in questo caso).
Il Jazz, anzi scusate, il mondo intero deve ancora molto a John Coltrane. È un artista la cui musica non invecchia mai. E si sente anche in questa raccolta di takes, registrata a cavallo di uno dei suoi periodi più creativi in assoluto in molteplici e anche opposte direzioni (ma forse non per lui).
C’è la bellezza dell’arte, la bravura del singolo, il genio del fuoriclasse. E per una volta c’è anche una qualità audio sopra la media, che arriva da nastri ottimamente conservati (per miracolo).
Come ritrovare una foto che non ha perso i suoi colori accesi dopo ben 55 anni. Che il disco e la sua storia siano anche di stimolo ai più giovani – mi basterebbe sapere di almeno il 51% di loro – per percepire e toccare con mano la densa sostanza di ciò che ha reso grande la Musica, diradando il fumo negli occhi che sin troppi “discografici” oggi cercano di gettare loro.
Ora e sempre, viva John Coltrane.
Chris Cornell – CHRIS CORNELL
Consigliato da Antonio Cangiano
Una proposta dal sapore dolceamaro è quella che mi accingo a fare a più di un anno dalla scomparsa di Chris Cornell, una figura musicale importante, sia per il sottoscritto che per almeno un’intera generazione di persone in tutto il mondo.
Questo album è una raccolta che racconta la vita di un uomo, un diario artistico che porta estratti e reperti di quello che è stato e che sempre sarà il cantante di Soundgarden, Audioslave e Temple of the Dog, un modo come un altro per omaggiare o conoscere meglio un artista che molto probabilmente è il motivo per il quale imbraccio uno strumento adesso.
Bobby Sanabria Multiverse Big Band – WEST SIDE STORY REIMAGINED
Consigliato da Alfredo Romeo
Alla guida di una big band allargata a 21 elementi con l’apporto di una poderosa sezione percussiva, il batterista, compositore e didatta Bobby Sanabria ci regala un doppio CD in cui rilegge in chiave latin jazz il capolavoro del maestro Leonard Bernstein. La vicenda è quella di Tony e Maria, novelli Giulietta e Romeo, sullo sfondo dello scontro nell’Upper West Side di New York tra le due bande rivali dei Jets, bianchi, e degli immigrati portoricani Sharks.
Musicalmente parlando, la suggestiva rilettura di Sanabria sembra prendere decisamente le parti di questi ultimi, visto il massiccio ricorso a ritmiche e strumenti di derivazione afrocubana (in particolare bomba e plena, tipiche di Puerto Rico), su cui si innestano numerose parti improvvisate, nella miglior tradizione jazzistica. Una rilettura riuscitissima, che regala una nuova e suggestiva veste alle composizioni immortali di uno dei capolavori musicali del Novecento.
Fantastic Negrito – PLEASE DON’T BE DEAD
Consigliato da Stefano Tavernese
Perchè l’ho scelto? Per il nome che spacca. Per il titolo dell’album. Per la musica che fa ballare. Perché è quasi morto e resuscitato. Perché è una macchina da guerra e dal palco resuscita anche i cadaveri. Perché è capace di mettere assieme Prince, il blues della tradizione e quel nonsoché di esotico e intrigante che spira nel vento del deserto. Perché suona la chitarra come il più sincero degli ignoranti. Perché è uno dei pochi personaggi degni di nota usciti negli ultimi anni (e non perché nel 2017 ha vinto il Grammy per il miglior album di blues contemporaneo…).
Peter Hammill – X/TEN
Consigliato da Francesco Passarelli
Ascoltare un settantenne per capire come fare musica nel nuovo millennio, dopo i capolavori degli anni ’60 e ’70, a cominciare da quelli assieme ai Van der Graaf Generator, da The Aerosol Grey Machine, passando a The Least We Can Do Is Wave to Each Other per finire con H to He, Who Am the Only One e l’assoluto (uno dei 10 album da portare nell’isola deserta) Pawn Hearts…
Ogni volta che lo riascolto mi svela qualche particolare nuovo, per non parlare dei suoi “soli” Fool’s Mate e Chameleon in the Shadow of the Night… Uscito solo negli ultimi mesi dell’anno, ma assolutamente il mio disco del 2018.
Myles Kennedy – YEAR OF THE TIGER
Consigliato da Mirko Testa
Il debutto solista di Myles Kennedy arriva con un concept album in chiave rock-blues, totalmente acustico, ed è un salto senza rete di sicurezza per il frontman degli Alter Bridge e vocalist del progetto solista di Slash.
Un lamento intimo con ballate ricche di pathos e senza le particolari acrobazie vocali alle quali ci ha abituato, fortemente incentrato sulla morte del padre (avvenuta quando aveva solo 4 anni). Lo ascolti e vivi una vera e propria catarsi: “I am turning stones to leave the past behind“.
Pat Metheny – IMAGINARY DAY
Consigliato da Alessandro Teruzzi
Si tratta del primo album in assoluto che ho ascoltato di questo artista. Provenivo dal mondo dell’hard-metal, e Imaginary Day mi ha subito colpito per l’eleganza del tocco chitarristico di Pat Metheny, aprendomi in questo modo le frontiere verso altri generi musicali che tutt’ora fanno parte del mio pane quotidiano musicale.
Il disco più “retrò” di questa lista di scelte, tra le tante novità più o meno recenti, è quello che rappresenta maggiormente il mio 2018, una pietra miliare che non ho mai smesso di ascoltare da quando l’ho incontrata.
Greta Van Fleet – ANTHEM OF THE PEACEFUL ARMY
Consigliato da Fabrizio Ranieri
Di sicuro hanno avuto il merito di creare un dibattito nel mondo del Rock. Sono incappato in diversi parapiglia, nei quali la discussione si poteva sintetizzare in due tesi opposte: “i nuovi Led Zeppelin” vs “ridicoli emulatori”. Di sicuro però, quasi sempre, le discussioni avevano alla base opinioni e pensieri radicati nelle idee che ogni partecipante aveva a proposito della musica, di come viene percepita all’ascolto e di come viene creata su strumenti che sono realmente suonati. Il che, rispetto alla conta dei tatuaggi o degli invitati a un evento mondano, rappresenta comunque un confronto piacevole da leggere.
Per quanto mi riguarda non penso di trovarmi di fronte ai “nuovi Led Zeppelin”, ma se è un fatto evidente la presenza di una certa influenza e possibilmente anche di una determinata direzione di produzione, va comunque detto che il talento non si può negare. Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho ascoltato con tanto interesse una band di ragazzini poco più che maggiorenni prima di incontrare i Greta Van Fleet.
Un fenomeno che polarizza in questo modo le opinioni merita almeno un ascolto libero da preconcetti e sovrastrutture quindi fate i bravi, ascoltate il disco e Babbo Natale sarà clemente.
Jonathan Bree – SLEEPWALKING
Consigliato da Andrea Carianni
Legato a una bella esperienza all’estero vissuta durante l’anno, “Sleepwalking” non sarà l’album della mia vita ma è comunque uno degli ascolti preferiti per il mio 2018.
L’hanno definito come un pop da camera, senza però specificare che non si tratta di una stanza generica ma di una soffitta: abbandonata a sè stessa il giusto, tirata a lucido come “mamma anni ‘80” desidera, sinistra e perversa più di quanto potesse mai sperare.
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