Si è tenuto a Berlino lo scorso novembre il PLAY by Dave Grohl Music Camp, un evento che ha coinvolto sei giovani musicisti tra cui l’italiana Flavia Messinese.
Come facilmente intuibile, l’iniziativa ha preso spunto dal documentario che il frontman dei Foo Fighters ha lanciato nei mesi scorsi: un inno all’esperienza di vita del suonare uno strumento musicale, suggellato dall’esecuzione di un brano strumentale della durata di circa 23 minuti, nel quale l’artista ha suonato di persona tutto ciò che era coinvolto nella realizzazione del pezzo.
Proprio il monumentale instrumental è stato al centro del camp, che si è svolto in due giorni lo scorso novembre a Berlino e organizzato dalla locale BIMM in collaborazione con Sony Germany. L’obiettivo era quello di far suonare il brano “PLAY” a un gruppo di sei strumentisti di giovane età, costantemente seguiti da alcuni tutor dell’istituzione didattica in un’esperienza musicale e personale del tutto in linea con quei principi che a suo tempo hanno ispirato il documentario.
Tra i ragazzi coinvolti c’era anche la chitarrista siciliana, che da qualche mese si è trasferita in Germania proprio per proseguire i suoi studi musicali: l’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande su questa bella esperienza.
Ciao Flavia e grazie per il tuo tempo. Anzitutto ci piacerebbe che ci raccontassi come sei riuscita a partecipare all’evento.
Un saluto a tutti i lettori! I sei musicisti sono stati selezionati da uno staff formato dagli insegnanti del BIMM di Berlino e di Sony Germany, scegliendo tra chi come me aveva inviato un video di una propria performance musicale.
Ci sarebbe anche un aneddoto: in teoria non avrei potuto partecipare, visto il limite di età di 22 anni, mentre a camp iniziato io ne avevo appena compiuti 24 (nel video infatti c’è una parte dove si vedono i ragazzi che applaudono e io con una tortina di compleanno, mi hanno fatto una bella sorpresa).
Ho deciso di inviare ugualmente la mia candidatura: pensavo che al massimo non sarei stata presa in considerazione, e invece…
Come era organizzato e come si è svolto il tutto?
Abbiamo fatto due giorni di full immersion presso noisy Rooms, la sala prove che ospita le lezioni del BIMM. Si è iniziato di sabato mattina alle 09:00: siamo stati divisi per strumento, assegnati ai rispettivi tutor e poi subito a studiare il brano e, per noi tre chitarristi, a dividersi le rispettive parti; pausa pranzo e poi di nuovo così fino alle 19.
Domenica mattina appuntamento allo stesso orario e abbiamo completato il brano prima di pranzo. Per noi chitarristi è stato un pò complesso, visto che il giorno prima eravamo ancora a circa 12 minuti della canzone… ma non so come, nel pomeriggio la band si è riunita e abbiamo terminato nel giro di poche take (quella che si sente nel video è la seconda).
Possiamo dire di essere letteralmente sopravvissuti a questa esperienza, ogni take significava suonare per 23 minuti ininterrotti a ritmo elevato, con le telecamere sempre puntate, sapendo che non ci sarebbe stata post produzione né altro e che se avessimo fatto errori sarebbero rimasti… ma sicuramente è andata meglio di quanto potessi immaginare.
Avete mai avuto modo di entrare in contatto diretto con Dave?
Purtroppo no, e dalla Sony non ci è stata data comunicazione che possa avvenire un incontro in futuro, ma ammetto che la speranza che possa succedere qualcosa per i suoi concerti in Germania c’è… Per quanto riguarda lui, sono sincera: non riesco ancora a concepire che abbia avuto l’opportunità di sentirmi suonare. Mi sembra tutto talmente assurdo e surreale, penso che realizzerò veramente la cosa solo quando riuscirò a stringergli la mano.
Quanto forte è stata la responsabilità di confrontarsi con un brano di questa complessità e durata realizzato da un artista del genere?
La complessità per me consisteva proprio nella durata: non è semplice ricordare 23 minuti di strumentale, tra l’altro avendo avuto modo di studiarlo in soli due giorni… ripeto, non so come quel pomeriggio siamo riusciti a portarlo a termine, l’adrenalina forse. Anzi, di sicuro.
Altro piccolo aneddoto: le take ufficiali sono state due, ma in realtà sarebbero tre. Abbiamo registrato le prime due con le telecamere e con la regola che, qualsiasi cosa succedesse, dovevamo comunque arrivare fino alla fine. Dopodichè ci hanno dato la possibilità di registrarne una terza, senza telecamere e potendo ripartire o fermarci se volevamo. Risultato? Ci si perdeva, dimenticavamo le parti e inoltre mancava anche l’energia, così questa incisione, che in teoria doveva essere la migliore poiché priva di tensioni esterne, è stata subito scartata. Di nuovo, l’adrenalina: essere sotto pressione è stato ciò che ci ha fatto portare a casa il risultato.
Cosa ti lascia questa esperienza a livello professionale e personale?
Sto cercando di scindere i due aspetti, ma più ci penso più i due si fondono e questo fa davvero riflettere su tante cose. Sicuramente questa esperienza mi ha fatto capire l’importanza degli studi fatti sul solfeggio, avendo dovuto leggere le parti che altrimenti non avrei potuto suonare, ma anche della gestione della strumentazione (nulla era mio, a partire dalla chitarra, ho dovuto sfruttare quello che avevo per ottenere il miglior suono possibile).
Ho anche imparato che sapersi adattare velocemente è una grande dote e che sorridere ti porta sempre vantaggi. La gratificazione di vedere un lavoro ultimato con successo, e di vedere che il tuo suonare per qualcuno ha un valore, è un investimento da fare e non un semplice “play”, che forse questa è la strada giusta da seguire e che non è tempo perso quello dedicato alla musica.
Un’esperienza che ha sicuramente lasciato il segno in Flavia, la cui passione per la chitarra è sbocciata grazie ai primi accordi in chiesa ed è “sopravvissuta” ad altri interessi e persino all’arruolamento nell’esercito.
Un percorso che, benchè abbia assunto un’importanza primaria soltanto da tre anni, è già passato per tappe impegnative in particolare dal punto di vista didattico (come la partecipazione alle Umbria Jazz Clinics e la borsa di studio del Berklee College of Music di Boston), fino al trasferimento ad Hannover nello scorso settembre per proseguire gli studi accademici in chitarra nel dipartimento JRP presso la “Hochschule für Musik, Theater und Medien”.
Il buon riscontro di attenzione riscosso dall’evento è un segnale confortante, e sicuramente il seme piantato da Dave Grohl con l’esperimento PLAY può portare i propri frutti a livello globale anche grazie a iniziative come il camp che abbiamo raccontato in questa sede.
C’è una certa urgenza di trasmettere alle nuove generazioni la bellezza dell’esperienza del suonare, qualcosa che forse sta passando in secondo piano in questi tempi tecnologici e iper-connessi ma troppo spesso vissuti con superficialità dal punto di vista artistico e creativo: la speranza è che questo camp possa essere un utile input in tal senso.
Aggiungi Commento