Il terzo album del 22enne chitarrista lascia aperte le porte verso un promettente futuro. Abbiamo chiesto a Marcus King di presentare di persona le sue carte.
Bastano i sessanta secondi introduttivi di Carolina Confessions nel primo pezzo per dare un assaggio delle atmosfere bucoliche del North Carolina e poi partire di scatto facendo urlare la chitarra su un crescendo dei fiati che si spegne solo per cambiare totalmente dinamica e introdurre la bella voce roca di Marcus.
Il resto di questo suo terzo album mantiene le premesse, lasciando forse solo un minimo di incompiuto, la mancanza di qualcosa di veramente esplosivo in grado di proiettarlo realmente nella serie A a livello internazionale. “Where I’m Headed” è una buona canzone in stile 60s e “How Long” ricorda con piacere i migliori momenti della Stax, ma “Welcome Round Here” è l’unico momento in cui la grinta del rock si affaccia con chiarezza.
Marcus King non ha l’appeal di John Mayer e non cerca – almeno per ora – il crossover di genere. Non ha neanche l’impeto bulimico di un Bonamassa ma, cresciuto letteralmente a pane e blues, viene spinto giustamente in avanti come nuovo nome in grado di sostentare un filone difficile da espandere, dando qualcosa di appetibile agli anziani nella speranza di allettare anche una fetta di pubblico più giovane.
Dalla sua ha una delle migliori accoppiate fra strumentista e cantante, capace di mettere assieme la mano felice di un esperto frequentatore di valvole e humbucker con una voce da cinquantenne dai polmoni divorati dalle troppe sigarette.
La sensazione è che la rilassatezza della studio di registrazione non renda abbastanza merito a una band che offre sicuramente il massimo sul palco.
King, che è nel corso di un lungo tour internazionale e si è esibito anche a Milano il 15 ottobre scorso, rimane l’ex-bambino prodigio che a 18 anni si è visto produrre il primo album da uno come Warren Haynes e che può vantare un pedigree unico, essendo figlio e addirittura nipote di chitarrista blues. Il suo strumento principale oggi è proprio la Gibson del nonno.
Non sei il primo King a suonare principalmente una Gibson ES-345. La scelta va al di là del suonare la chitarra di tuo nonno?
La Gibson ES-345 è stata usata da alcuni dei miei eroi assoluti come Freddie King e Chuck Berry, ma era anche la chitarra che ho visto nelle mani di mio nonno da bambino. La musica è così connessa con la famiglia e quella chitarra mi fa sempre sentire di nuovo a casa. E mi fa sentire la guida e la presenza di mio nonno.
Mica male come presupposti… d’altronde, per essere uno di quelli cui cambiavano letteralmente il pannolino sul palco, è un chitarrista abbastanza sobrio nel suono come nella scelta delle note. Il fraseggio è un po’ nervoso, bella mano, bel vibrato, ma nell’album non esagera mai troppo.
I suoi riferimenti espliciti sulla chitarra, poi, non sono quelli che ci si potrebbe aspettare da un ragazzo di 22 anni. Non stupisce la citazione di Stevie Ray Vaughan e Duane Allman, ma Jimmy Herring è già meno scontato e instilla qualche sospetto di pericolosa jazzofilia. Quando infine fa i nomi di John McLaughlin e di quell’anarchico di Frank Zappa siamo decisamente all’erta.
Per quanto riguarda i cantanti, c’è poco da discutere…
Tu hai il dono naturale di quella che viene definita una voce “nera”. Chi sono i cantanti che ami di più?
Fin dagli inizi le mie influenze come cantante sono state James Brown, Otis Redding, Aretha Franklin, Janis Joplin e Greg Allman. Avevano quella grezza potenza e cantavano con sincerità. Può sentire la ferita in quello che dicono veramente. Mi attirava fin da bambino il cercare di incanalare queste emozioni. Penso che sia importante.
Marcus descrive la sua musica come southern rock psichedelico con influenze soul e l’effetto è quello di ottima materiale rétro suonato con grande padronanza e convinzione, fresca per quanto è possibile alla data odierna. Ci si chiede per chi sia appetibile se non alle generazioni precedenti. Glielo chiediamo…
Il mercato oggi è decisamente cambiato, come anche la musica in classifica. A quale tipo di pubblico ti rivolgi? C’è anche gente della tua età?
Il bello del nostro pubblico è che vedi giovani musicisti, dai 13 anni in su, accanto a gente di 60-70 anni che sentono una connessione con la nostra musica grazie alle forti influenze avute da giovani.
Allo stesso tempo, c’è un vasto mercato di ragazzi che pensano sia fico suonare la chitarra e che sia un bel modo di esprimere se stessi. Qualcosa accade in ogni generazione per quanto riguarda la chitarra. Ascoltano quello che trasmette la radio e chi lo desidera si può veramente collegare allo strumento. È qualcosa che non puoi proprio fingere, è un’emozione pura e reale che arriva attraverso di esso.
Cos’altro ascolti nel panorama contemporaneo? Sei interessato a provare qualche tipo di crossover con altri generi?
Certo. Sono molto preso dallo Psychedelic Indie Rock come Tame Impala e anche Dr. Dog o Unknown Mortal Orchestra. Mi è piaciuto molto collaborare con Dan Auerbach.
Come ci si sente ad avere tuo padre che apre i tuoi concerti con la sua band?
È veramente una benedizione incredibile suonare con mio padre e condividere con lui questa cosa meravigliosa che è la musica. La mia intera vita è ciò che ci lega e fare musica con lui è un vero dono.
Carolina Confessions è pubblicato da Fantasy Records/Concord, distribuito in Italia da Universal Music.
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