La storia della candidatura di Gillespie è una via di mezzo tra lo scherzo e una faccenda che iniziò a farsi seria, pur senza concretizzarsi mai del tutto.
Mentre in Inghilterra facevano il loro debutto Beatles e Rolling Stones e a New York Bob Dylan pubblicava The Freewheelin’ Bob Dylan con l’inno generazionale “Blowin’ in the Wind”, iniziava la corsa elettorale alla Presidenza americana, per la quale si sarebbe dovuti andare al voto l’anno successivo.
Ma era quasi scontato che John F. Kennedy avrebbe riconfermato il suo mandato.
Ma il ’63, allo stesso tempo, fu un anno davvero funesto per la comunità nera americana, che a quel tempo lottava per i diritti civili, aspramente negati senza troppi giri di parole e con morti e feriti, soprattutto negli Stati del Sud.
In testa a tutti c’era George Wallace, governatore dell’Alabama e all’epoca esempio dell’odio razziale che colpiva le più alte sfere del potere. Wallace stesso si presentava alle elezioni presidenziali del ’64 (e lo farà, perdendo ogni volta, anche nel ’68, ’72 e ’76), senza fare alcun mistero delle sue idee conservatrici: sostenitore della segregazione razziale e assolutamente contrario ai diritti civili per la gente di colore.
L’11 giugno del 1963 (nonché prima e dopo…) Wallace fu uno dei più accaniti detrattori dell’ingresso dei primi studenti di colore nelle università, giorno in cui venivano accolti Vivian Malone e James Hood nelle classi dell’Università del suo stesso Stato, scortati dalla Guardia Nazionale in mezzo a urla di ogni tipo…
In Stati come l’Alabama il razzismo non era un problema, all’epoca era la regola.
Il Ku Klux Klan aveva vasti poteri “d’intervento” (eufemismo) ed era spalleggiato anche dalle più alte cariche politiche e giuridiche.
Il 15 settembre una bomba a una chiesa di Birmingham costò la vita a quattro giovanissime afroamericane, una strage a lungo impunita grazie a un processo fasullo, ostacolato da Wallace e viziato da manipolazioni continue. Fino al 1977 il colpevole, membro del KKK, non vedrà la sua condanna.
In altri Stati non andava meglio. Nel Mississippi, proprio il giorno dopo la desegragazione delle Università e del famoso discorso di Kennedy dalla sala ovale (Report to the American People on Civil Rights), l’attivista afroamericano Medgar Evers fu ucciso con un colpo di fucile alla schiena. Fu accusato dell’omicidio proprio un membro del KKK, Byron De La Beckwith, che la passò liscia per una chiara scelta della giuria, tutti bianchi e dalle idee altrettanto “chiare”.
Per 30 anni De La Beckwith è rimasto in circolazione, fino alla riapertura del processo e alla sua condanna nel 1994. Tardi, troppo tardi, quando non gli si potevano più strappare, giustamente, gli anni più belli della vita, quelli a cui non aveva diritto…
In tutto ciò, le marce di protesta erano all’ordine del giorno, come quella su Washington con centinaia di migliaia di persone, e i discorsi di Martin Luther King parlavano al cuore della gente ma si scontravano con l’odio di un altrettanto grande numero di oppositori.
Insomma, il clima era decisamente rovente e la pseudo-campagna presidenziale di Gillespie era già iniziata, quando la sua agenzia di management, la ABC, aveva iniziato a produrre spillette e altri gadget con lo slogan “Dizzy Gillespie for President“, un modo per promuovere ironicamente l’artista, che era conosciuto anche per il suo grande senso dell’humor oltre che per la sua innata bravura per la quale oggi lo consideriamo uno dei padri assoluti della musica Jazz.
Fu la strage delle ragazzine di Birmingham a smuovere una molla in più nell’animo dell’artista, che nello stesso mese aveva in programma la sua esibizione al Festival di Monterey.
Il 21 settembre, proprio da quel palco, Gillespie annuncia: “Voglio essere il prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America, perché ce ne serve uno!“.
L’intento continuava a non essere serio, ma fu un chiaro messaggio a tutta l’America.
Nel repertorio della band quella sera era presente il brano “Salt Peanuts“, uno dei grandi classici del Bebop, registrato da Gillespie con le sue All Stars nel 1945 con una punta di diamante al sassofono, Charlie Parker.
Ma a Monterey la canzone prese tutt’altra piega, le parole del ritornello, intonate per l’occasione dal cantante Jon Hendricks, si trasformarono da “Salt Peanuts! Salt Peanuts!” a “Vote Dizzy! Vote Dizzy!” seguite da “You want a good president who’s willing to run, You wanna make government a barrel of fun” (“Volete un buon presidente che sia disposto a correre [cioé darsi da fare, NdR], Volete un governo che vi faccia divertire“).
Il tutto, se volete ascoltarlo, è testimoniato dal disco live Dizzy for President.
La macchina era stata messa in moto anche su quotidiani e riviste specializzate, grazie agli articoli del noto critico jazz Ralph Gleason.
Pur tuttavia, la volontà di candidarsi alla più alta carica degli Stati Uniti era supportata da un programma di governo quantomeno strampalato, ma simpaticissimo.
Prima di tutto: la Casa Bianca avrebbe cambiato nome, diventando The Blues House (Casa del Blues).
E alle più alte cariche? Beh, ecco a chi sarebbero state assegnate:
- Duke Ellington: Ministro dello Stato
- Louis Armstrong: Ministro dell’Agricoltura
- Max Roach: Ministro della Difesa
- Charles Mingus: Ministro della Pace
- Malcolm X: Procuratore Generale
- Ella Fitzgerald: Politiche Sociali
- Ray Charles: Direttore della Biblioteca del Congresso
- Mary Lou Williams: Ambasciatrice al Vaticano
- Thelonious Monk: Ambasciatore “in viaggio”
E infine, forse la cosa più fantasiosa tra tutte: Miles Davis sarebbe stato il nuovo Capo della CIA!
La bizzarra campagna elettorale fu comunque portata avanti, sostenuta dal suddetto giornalista Ralph Gleason e dalla moglie, nonché da un folto gruppo di fan che formarono la John Birks Society (John Birks era il vero nome di Gillespie, “Dizzy”, era un soprannome la cui origine è ben intuibile dalla sua traduzione: “vertiginoso”).
Questa organizzazione si dette da fare per Gillespie in 25 Stati e si batté molto per portarlo al ballottaggio in California, sicuramente uno dei luoghi più progressisti di tutta l’America, senza riuscirci.
Tra le tante attestazioni di stima, si racconta che durante il famoso discorso di Martin Luther King “I Have a Dream“, ci fossero spettatori che indossavano la spilla “Dizzy for President”.
La storia, come ben sappiamo, andò diversamente. Due mesi dopo l’annuncio dal palco di Monterey, il Presidente Kennedy venne assassinato a Dallas. Il Vicepresidente Lyndon Johnson salì al potere, finì il mandato del suo predecessore e vinse le elezioni del 1964.
Però, soprattutto in quel periodo, un sogno era tutto quello che molte persone potevano avere, per il quale lottare con tutte le forze.
E diciamolo, in tutta la sua stravaganza, il progetto di Gillespie non avrebbe potuto fare certo peggio di altre amministrazioni americane venute di lì a non molti anni…
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