The Blues Is Alive And Well è il nuovo lavoro di Buddy Guy e con lui ci sono anche Jeff Beck, Jagger e Richards.
Era proprio necessario chiamare qualche illustre discepolo per benedire l’ennesima prova discografica di un personaggio che del blues moderno ha fatto la storia? Una buona domanda per gli uffici commerciali della Silvertone e la risposta è quasi scontata.
Dagli ospiti qualche sorpresina è anche arrivata ma ciò che importa è sottolineare che Buddy non è solo un sopravvissuto ma un musicista pieno di carica e di groove. Praticamente l’ultimo patriarca rimasto delle generazioni che hanno creato il modello stesso per tutti i moderni chitarristi blues e rock-blues.
Grande cantante, grintoso e pieno di feeling, Buddy Guy suona forse la metà o un terzo delle note che produce abitualmente il bravissimo Bonamassa (sorry Joe, ti vogliamo comunque bene…), ma quelle che escono dalla sua chitarra hanno un peso e un carattere non paragonabili. Non è un caso se sceglie di aprire le danze con una canzone di media caratura: basta l’assolo di “A Few Good Years” a dare i brividi.
A trascinare ci pensa la seguente “Guilty As Charged”, uno shuffle ignorantone strillato e suonato alla grande, con la sua strat attenta più a graffiare che a misurare le distanze.
Se cercate la precisione svizzera non è questo il posto giusto: di strumentisti perfettini e inutili ce ne sono più che abbastanza in giro per il mondo.
Le cose si fanno interessanti con “Cognac”, slow blues che parte impetuoso per dare immediatamente il metro della situazione. Guy gioca a fare l’anfitrione, sgomitando abilmente per tenere la posizione tra le bordate di un Jeff Beck insolitamente aggressivo. Il chitarrista inglese tira fuori qui tutta la cattiveria che aveva in serbo da anni e un suono potentissimo in una raffica di quei fraseggi che solo a lui sono possibili.
Keith Richards, invece, suona come se fosse capitato per sbaglio in sala, a malapena mette in fila qualche nota. Viene il sospetto che non ci abbia neanche provato considerato il volume di fuoco che arrivava dall’altro lato. Ma la sua presenza ritmica è quella spezia che aggiunge il mojo necessario al pezzo, la magia giusta.
Il suo socio in affari negli Stones si prende qualche spazio in più con l’armonica in un brano in cui la chitarra è particolarmente sorniona, “You Did The Crime”. Mick Jagger non è mai stato un grande armonicista ma persino lui, pur di esserci, si accontenta di aggiungere qualche semplice colore. Magari ballando.
È particolarmente intensa “Blue No More” cui partecipa il quarto ospite, il giovane James Bay, astro nascente inglese in ambiente indie/alternative. La sua morbida vocalità ben si adatta al duetto con l’anziano bluesman, che non si crea mai problemi, arroccato comodamente dietro il suo largo e accattivante sorriso.
Il pezzo che dà il titolo all’album è una canzone che qualche decennio fa avrebbe fruttato qualcosa nelle classifiche r’n’b/soul con la spinta di una nutrita sezione di fiati e un assolo tiratissimo di chitarra del titolare. Di razza simile, ma più grintosa, risulta “Old Fashioned”.
“Oh Daddy” si prende qualche licenza di sapore r’n’roll, “Somebody Up There” scava in profondità con un riff rubato amorevolmente a John Lee Hooker, “End Of The Line” è un fuoco pirotecnico di interscambi tra fiati e chitarra, mente “Whiskey For Sale” gioca furbamente su una ritmica funky per animare una potenziale pista da ballo.
Sono ben 15 i titoli in scaletta, quasi tutti originali (con l’eccezione di “Nine Below Zero”, cover di Sonny Boy Williamson II) per un album forse fin troppo sontuoso, ricco di buone intenzioni ma privo di canzoni veramente memorabili.
Il fatto è che uno come Buddy è una sicurezza: riesce a dar vita anche a un pezzo mediocre. A 81 anni è al top della sua forma attuale e si alza sulla punta dei piedi fin sull’orlo del precipizio pur di colpire la nota giusta.
Hats off per lui.
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