Negli anni sono stati molti gli esperimenti che hanno cercato di interpretare i suoni della natura. Qualche tempo fa, qualcuno pensò di far suonare da un giradischi alcune sezioni prese dai tronchi degli alberi, seguendone i cerchi interni come i solchi dei vinili.
Stavolta si è decisamente pensato in grande: tradurre in musica la nostra stessa galassia.
Mark Heyer, astronomo dell’università del Massachusetts Amherst, ha così scritto uno spartito utilizzando uno speciale algoritmo con la funzione di tradurre in note tutti i segnali intercettati dai radiotelescopi. Così, movimenti di nubi e gas e tutto ciò che circola nella nostra Via Lattea è diventato un brano intitolato, certo con non grande originalità, “Milky Way Blues“.
La traduzione è avvenuta, semplificando, in questo modo: le note alte sono state associate a gas che si muovono verso una direzione e le basse verso la direzione contraria. La loro lunghezza è stata basata sui dati di emissione.
Idea nuova? Per niente, come ci dice la fonte ANSA già Keplero ebbe l’idea all’inizio del XVII sec. di comporre “Harmonices Mundi” (Armonia del mondo) basandosi sulla velocità dei pianeti lungo le loro orbite.
Si parla di Blues… ma noi ci sentiamo anche altro. E allora lanciamo a voi la sfida: date un nome a questo genere musicale… galattico!
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