Nel freddo gennaio del ’58, in una sola settimana, la furia omicidia del serial killer Charles Starkweather e della fidanzata Caril Ann Fugate si abbatte sugli Stati americani del Nebraska e del Wyoming. Lo straziante bilancio è di 11 vittime, a partire dai genitori della stessa Carin Ann, uccisi a colpi di fucile, e della loro figlia più piccola, strangolata e pugnalata. Al suo arrivo, la fidanzata lo aiuterà a nascondere i corpi.
Nasce in questo modo una delle storie di assassini più famose d’America ed è questo il racconto che, 24 anni dopo, Bruce Springsteeen sceglie per aprire il suo disco, intitolando sia questo che la title track proprio Nebraska.
Sono molte le storie che il Boss racconta davanti al suo registratore portatile, lui non è un criminale ma, armato di una chitarra acustica, di un’armonica e della sua voce, riesce a fare centro a ogni colpo per tutte e dieci le canzoni che compongono quest’album.
Alcuni altri strumenti fanno capolino durante l’ascolto, ma resta un dialogo intimo tra il Boss e chi ascolta. Uno di quei dischi per il quale sarà estremamente necessario fare silenzio intorno a voi, abbassare le luci e perdersi nelle storie narrate dalla voce di Springsteen, intensa anche quando, come nel primo brano, non si piega a particolari vezzi interpretativi, ma rimane quasi priva di emozione.
Ed il finale sottolinea questa sua apparente freddezza, sensazione del resto riportata anche dalla foto di copertina, con il verso “I guess there’s just a meanness in this world” (“Immagino che ci sia solo una cattiveria in questo mondo”), come ultima frase dell’assassino per motivare i suoi folli gesti.
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