L’artwork dell’album anticipa la musica: la copertina ritrare una figura femminile vestita di nero lungo la riva del fiume Thames, in una radura dell’Oxfordshire. Impossibile non vedere in questa raffigurazione un messaggio tutt’altro che solare, con una sagoma a metà tra una strega dei boschi e un fantasma (per non parlare del casolare alle sue spalle, degno del migliore Sam Raimi…).
Se l’esterno del disco è decisamente oscuro, l’interno fa un passo oltre: uno sfondo nero su cui si staglia una croce rovesciata dentro cui è riportato un poema che mette in forma scritta lo stesso pathos visto finora.
E in tutto ciò, ben si innesta la title track che apre l’album, con il suo ritmo lento e ossessivo, la chitarra di Tony Iommi dilatata e dal suono cupo, enorme, al contrario della voce di Ozzy, chiara e a tratti stridente, che intona una cantilena da brividi.
Facile immaginare il perché sin dall’inizio la band venne associata al satanismo, per quanto poi, soprattutto con album come Master of Reality (nel quale i testi celebrano la salvezza dell’anima e non la sua condanna), abbia cercato di spostare decisamente l’ago della bilancia.
Ma al di là delle ciance bigotte, quello che è subito chiaro è che nel panorama rock è nata una band destinata a cambiare la storia e a fondare uno stile musicale del tutto nuovo. Stile che ancora oggi è alla base della nascita di altre derivazioni rock ed heavy metal.
Un album dopo l’altro, da quel giorno, i Black Sabbath conquisteranno il mondo e entreranno di diritto nell’Olimpo del Rock (o nell’inferno, se preferite…).
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