Chi volesse cercare le radici profonde da cui trae linfa l’estro di Kamasi Washington, oltre al citatissimo Coltrane, dovrebbe dedicare attenzione al Faraone, oggi 78enne e ancora attivo, nonché veneratissimo. Vengono ora ripubblicati Tauhid, Jewels Of Thought e Summun Bukmun Umyun dagli anni con l’etichetta Impulse!, recensiti sul Mucchio di dicembre.
A soprannominare in quel modo Farrell Sanders fu agli albori degli anni ’60 Sun Ra, che lo prese sotto la propria ala protettiva dopo il trasferimento dalla California a New York, dove – prima di entrare nell’orbita solare – faceva vita di stenti, nonostante suonasse il sax come pochi, forse nessuno. Parola dei colleghi.
Ornette Coleman l’ha definito “il miglior tenore del mondo”. E il selvaggio Albert Ayler ai tempi la mise giù così: “Trane è stato il Padre, Pharoah il Figlio e io lo Spirito Santo”.
Il talento di Sanders divenne evidente quando, nel 1965, entrò nel quintetto “free” con il quale Trane lavorò finché visse: un triennio appena, ma intensissimo, segnato verso l’epilogo dalla svolta spirituale rappresentata discograficamente da Meditations e dal postumo Om, su cui il nuovo entrato esercitò un’influenza determinante.
Non a caso, poi, egli stesso accompagnò i primi passi da solista della vedova Alice. Frattanto si era messo in proprio, stipulando un contratto con Impulse!, durato dal 1966 al 1974. È pescando nella rosa di quella decina di titoli che la sussidiaria dell’indipendente Mexican Summer ha confezionato un trittico di ristampe disponibile sia in edizioni singole sia in cofanetto deluxe.
![Il sassofono di Pharoah Sanders in un trittico di ristampe](https://www.musicoff.com/assets/upload/imagecache/2017/12/I/il-sassofono-di-pharoah-sanders-in-un-trittico-di-ristampe/fullPage/recensioni.jpg)
In ordine cronologico si parte da Tahuid: atto inaugurale del rapporto con l’etichetta newyorkese. Sostenuto da una formazione notevolissima (Dave Burrell al piano, Henry Grimes al contrabbasso e Sonny Sharrock alla chitarra, fra gli altri), Sanders comincia a definire un linguaggio giusto abbozzato nell’unico precedente individuale (Pharoah’s First, edito nel 1964 da ESP) e qui non ancora completamente a fuoco, benché le suite poste in apertura (“Upper Egypt And Lower Egypt”) e chiusura (“Medley: Aum/Venus/Capricorn Rising”) lascino intravedere i prodromi di ciò che sarà.
![Pharoah Sanders - Tauhid](https://www.musicoff.com/assets/upload/imagecache/2017/12/I/il-sassofono-di-pharoah-sanders-in-un-trittico-di-ristampe/fullPage/pharoah_sanders_tauhid.jpg)
Già il successivo Jewels Of Thought (ultimo dei tre album datati 1969) è di statura ragguardevole. Articolata in due episodi nei quali il capobanda si prodiga anche al flauto e al clarinetto basso, affiancato da solisti come il pianista Lonnie Liston Smith e il contrabbassista Cecil McBee, l’opera offre una visione mozzafiato: più dell’estesa “Sun In Aquarius”, in cui è nondimeno impressionante il crescendo orchestrale, a fare effetto è l’iniziale “Hum-Allah-Hum-Allah-Hum-Allah”, con la ritmica incalzante, gli accordi lirici del pianoforte e il canto di Leon Thomas (quasi in zona Stratos) a disegnare un sottotesto soul ripreso nel 1993 da Galliano in “Prince Of Peace”.
L’apogeo è però il seguente Summun Bukmun Umyun (1970), battezzato con una citazione da una sura del Corano (“Deaf Dumb Blind” in inglese): l’influsso di Madre Africa è nitido, tanto nell’imponente jam che intesta l’intero lavoro, fra vorticose poliritmie ed echi di rhythm’n’blues, quanto in “Let Us Go Into The House Of The Lord”, dall’ispirazione mistica e respiro contemplativo. Là si avvera ciò che il protagonista ha affermato una volta: “Quando raggiungi un livello spirituale, diventi tu stesso lo strumento”.
Alberto Campo
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