Ancora un estratto dalla Storia della chitarra Rock, il libro pubblicato di recente dalle Edizioni Hoepli: in questo capitolo si parla di Yngwie Malmsteen.
Yngwie parte dalla Svezia nel febbraio del 1983 per arrivare a Los Angeles, invitato da Mike Varney della Shrapnel Records, che ha sentito un suo demo e vorrebbe farlo suonare nel disco d’esordio di una band sconosciuta di nome Steeler. L’album, omonimo, esce lo stesso anno, ma non colpisce nel segno.
Tra i brani “Hot on Your Heels“, con un’introduzione strumentale che, nelle intenzioni di Yngwie, sarebbe dovuta essere il manifesto del suo stile, la sua “Eruption”. Il giovane svedese infatti ha già sviluppato, da autodidatta, il modo di suonare per cui sarebbe divenuto famoso.
Memore della lezione di Ritchie Blackmore nel miscelare a dovere hard rock-heavy metal con la musica classica, e partendo da un fraseggio che ricorda quello di Uli Jon Roth in “The Sails of Charon“, Malmsteen arriva a uno stile ultra-virtuosistico neoclassico, dove scale minori armoniche e modi da esse derivati, arpeggi diminuiti e ispirazioni a Bach, Paganini e Vivaldi costituiscono la base del vocabolario.
Dopo le registrazioni del disco, Yngwie lascia gli Steeler e accetta la proposta di entrare in una nuova band, questa volta di più alto profilo.
Inizi del 1984: Malmsteen è già quasi una star, grazie al suo lavoro con gli Alcatrazz di Graham Bonnet, ex vocalist di Rainbow e Michael Schenker Group.
Ma l’idillio non dura, e Yngwie è costretto ad abbandonare anche questa formazione, a causa delle pesanti tensioni con il frontman, arrivate al punto di non ritorno. I riflettori si sono gradualmente spostati sul chitarrista e questo a Bonnet non piace.
Nel loro ultimo concerto assieme, la Stratocaster di Malmsteen rimane muta: il cantante ha staccato, apposta, il cavo dall’amplificatore.
“Gli assolo di chitarra sono spazzatura“, pare gli abbia ribadito più volte. Quando l’episodio si ripete ancora, nel corso della stessa serata, è la goccia che fa traboccare il vaso.
Malmsteen gli urla che ha intenzione di andarsene, Bonnet lo apostrofa e lo colpisce con il microfono. “Me lo conficcò nello stomaco come una lancia“, racconterà Yngwie, “io lo colpii forte con un pugno e lui andò al tappeto. Quello fu il mio ultimo concerto con gli Alcatrazz“.
Steve Vai intanto ha appena pubblicato il suo primo disco come solista, “Flex-Able“, che contiene anche “The Attitude Song“, con il suo storico riff in 7/16. Prova a portare l’album in tour, a proprie spese, ma i costi sono troppo alti e le entrate poche.
A seguito di questa esperienza decide, a malincuore, di rinunciare alla carriera come compositore di musica per chitarra e accetta di unirsi agli Alcatrazz al posto di Malmsteen.
Nel frattempo quest’ultimo pubblica il primo album a suo nome, “Rising Force“, inizialmente pensato come progetto parallelo alla band di Bonnet per il solo mercato giapponese. Le registrazioni sono cominciate poco prima della separazione di Yngwie dal gruppo. Nel disco sono presenti anche un paio di brani cantati dal bravo Jeff Scott Soto.
Malmsteen infatti, ormai libero dagli Alcatrazz, vuole trasformare il progetto nella sua nuova band, non avendo alcuna intenzione di diventare un artista di nicchia: “Non ho mai voluto fare un disco di sola musica strumentale“, spiegherà, “intendevo raggiungere il maggior numero possibile di persone. Non sopporto che Allan Holdsworth venda pochissime copie, e Bon Jovi a vagonate. Io cerco di mettere insieme risultato artistico, musicale e commerciale“.
Nonostante la natura ibrida, l’album lancerà Malmsteen nel firmamento della chitarra elettrica, ottenendo successo praticamente senza alcuna promozione, e contenendo i capisaldi tuttora insuperati del metal neoclassico.
“Black Star“, “Far Beyond the Sun“, così come “Evil Eye” e “Icarus’ Dream Suite Op. 4“, sono infatti la perfetta rappresentazione dello stile dello svedese e del genere tutto, oltre che indiscutibili perle chitarristiche.
Vale la pena di soffermarsi su alcune considerazioni: la tecnica di Malmsteen è, ovviamente, grandiosa, presentando una delle plettrate alternate più veloci e riconoscibili di sempre (anche grazie alla combinazione di Fender Stratocaster scalloped, rigorosamente con pickup single-coil, di tipo noiseless, e amplificatori Marshall con il volume al massimo).
A ciò si aggiunge l’esecuzione di fulminei arpeggi con uno sweep picking pulitissimo, dove non esistono tracce di “sporco” o di note sovrapposte.
Senza dubbio nel tempo Malmsteen abuserà di queste doti, riempiendo album e concerti di un’estenuante e quasi ininterrotta gragnola di note. Ma, a parte dimostrare in questo modo le sue origini vichinghe (è nato come Yngve, primo nome del dio norreno della fertilità Freyr), il rischio sarà quello di togliere attenzione ad altri aspetti della massima importanza.
Innanzitutto, le tecniche espressive per eccellenza della chitarra, il vibrato e il bending, trovano in Yngwie uno dei massimi esponenti nell’universo del rock. Il suo vibrato, tanto quando è eseguito con le dita che con la leva, possiede un carico di lirismo ed espressività che non è secondo a nessuno.
I suoi bending vantano un’intonazione assoluta, mista a un gusto raro e prezioso (basta ascoltare l’assolo alla fine di “Suffer Me“, da “No Parole from Rock ‘n’ Roll” degli Alcatrazz, per rendersene immediatamente conto).
Un altro aspetto distintivo di Malmsteen è la sua capacità nell’improvvisazione. La maggior parte dei chitarristi rock, a differenza di quanto accade nel jazz, compone i propri assolo e non può, o non vuole, improvvisare. Yngwie invece, tanto in studio come dal vivo, si produce ogni volta in nuovi e rischiosissimi fraseggi.
Considerata la difficoltà esecutiva del suo repertorio e l’alto tasso adrenalinico che ne consegue, non possiamo che riconoscere il suo valore.
Nel 1985 esce Disturbing the Peace, il disco di Steve Vai con gli Alcatrazz, che toglie al gruppo l’immediatezza che caratterizzava il precedente lavoro, introducendo sitar elettrici, momenti modali e tutto quel concentrato di inventiva zappiana che il nostro padroneggia ormai alla perfezione.
L’album va male e Steve entra nella band di David Lee Roth, l’ex voce dei Van Halen, che ha lasciato il gruppo dopo il grande successo di “1984” e del singolo “Jump“.
Il testo è estratto dal libro La storia della chitarra Rock di Masperone e Tavernese, Edizioni Hoepli.
Aggiungi Commento