Tagliati i traguardi dei 40 anni di attività e dei 30 di The Joshua Tree, con Songs Of Experience gli U2 aggiungono un nuovo tassello a una discografia certamente generosa in termini quantitativi ma da troppo tempo deficitaria a livello qualitativo – l’ultimo album interessante risale ormai agli anni 90.
Questa volta, tra l’altro, gli spunti di riflessione non mancavano: la Brexit, l’elezione di Trump, l’incidente in bicicletta occorso a Bono Vox a Central Park, con il rischio concreto di non poter più suonare la chitarra, hanno procrastinato i tempi e fatto decantare le canzoni, alcune già testate in tour.
Se insomma qualche minima aspettativa poteva essere se non legittima, almeno concepibile, alla prova dei fatti i dublinesi – a proposito: in copertina sono immortalati i figli di Bono e The Edge – si addentrano in un repertorio che mescola senza guizzi i retaggi del passato e la velleità di suonare “contemporanei”.
Lo scambio di favori con Kendrick Lamar risalente ai tempi di “XXX” si materializza nella tiepida “Get Out Of Your Own Way”, comunque il pezzo più accettabile insieme al festoso uptempo “The Showman (Little More Better)”. Il resto del repertorio è a dir poco trascurabile, dall’insipida ballata “The Little Things That You Give Away”, rivisitazione di mille altri brani pubblicati negli ultimi vent’anni, alla preghiera sintetica e “vocoderizzata” di “Love Is All We Have Left”, dal funk estemporaneo di “Lights Of Home” al nuovo inno da stadio “American Soul”, quasi obbligatoriamente intrecciato con il rap.
Fabio Guastalla
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