L’immagine che di solito abbiamo di un compositore classico è quella di un “parruccato” e austero signore, seduto di fronte a un imponente pianoforte a coda e intento a spingere sui tasti creando suoni ampi e profondi da far tremare la terra sotto i piedi.
Ma nel caso di Mozart non era vero né l’uno né l’altro.
Prima di tutto, il compositore austriaco certo non si poteva definire un austero e burbero signore chiuso esclusivamente nella sua musica. Certo, senza arrivare alle romanzate trasposizioni cinematografiche, però è noto come fosse una persona di una certa… chiamiamola vitalità.
Vitalità che ben si rifletteva anche sullo strumento sui cui amava comporre e suonare le sue opere, un pianoforte di dimensioni decisamente più minute del normale e dal suono alquanto squillante. La caratteristica di questo piano, costruito nello stile viennese, era soprattutto nell’avere una risposta velocissima al tocco ed estremamente vivace, fattore che non va assolutamente sottovalutato nel momento in cui si riflette sulle opere dell’artista, molte delle quali animate dalla stessa vivacità.
L’attacco delle note, per le caratteristiche meccaniche dello strumento e dei suoi martelletti, era assai pronunciato, veloce e brillante e ciò alimentava quel tipico “zampillare” di note dello stile pianistico di Mozart.
Ce lo spiega Robert Levin, musicologo, compositore e direttore d’orchestra, e lo fa proprio seduto davanti al pianoforte usato dal grande musicista. Come dice lui stesso, solo suonando gli stessi strumenti utilizzati dai grandi del passato si arriva pian piano a capire cosa abbia portato un certo tipo di musica ad essere scritta in determinati modi, che si tratti di Mozart al piccolo pianoforte, di Bach all’organo e molti altri.
Sono parte e fonte della loro ispirazione, perché (cosa che dovrebbero ricordare anche certi minimalisti e assolutisti moderni) il suono è ispirazione al pari di ogni altra influenza sulla nostra creatività.
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