Tra gli album da portare sulla fantomatica isola deserta, almeno un paio dei Residents sono imprescindibili. Anche se i californiani non rientrano tra i vostri artisti della vita. È un dato oggettivo, fatevene una ragione. Perché se non altro Meet The Residents e The Third Reich n Roll, provocanti e dissacratori sin da titolo e veste grafica, fanno parte della cultura contemporanea.
Sono capisaldi di certo rock contaminato – a esser sinceri, sono gli stessi autori a non sapere da cosa; possiedono testi da mandare a memoria e partiture che sarebbe oltraggioso non conoscere sin nei minimi dettagli.
Sebbene inevitabilmente inferiore, pure la produzione successiva (che ormai sfiora il mezzo secolo) risulta di assoluta incisività.
Per tentare di mettervi ordine, 80 Aching Orphans è un ottimo punto di partenza che, tuttavia, porta con sé parecchi interrogativi.
Il più feroce sorge addirittura prima che si proceda all’assemblaggio dei quattro CD: in che modo sarebbe stato opportuno catalogarli, questi 80 brani, per dare un senso compiuto a un’antologia che ambisce a scrivere la parola definitiva sulla lunga e gloriosa discografia?
Ordine alfabetico? Banale anzichenò. Cronologico? I compilatori sarebbero impazziti.
A fare, allora, chiarezza sulle scelte è Homer Flynn, storico manager della formazione che, per dirla con il Renè Ferretti de Gli occhi del cuore, opta per il metodo “a cazzo di cane”: senza soluzione di continuità né apparente logica, si passa da composizioni che si perdono nella notte dei tempi a remix, da inediti per la prima volta su digitale a registrazioni dal vivo, persino recenti.
Il magmatico lotto funziona, e bene (anche per merito di un eccellente libretto che certifica tutti i brani presenti): “Squeaky Wheels”, ad esempio, è dissonanza che insegue dissonanza, con le percussioni che interrompono una sequenza di noise feroce per portare il pentagramma su territori orientali; “Hit The Road Jack” trasforma l’originale in mantra post-moderno virato verso funk e Dio solo sa cosa.
“This Is A Man’s Man’s Man’s World” è il singolo (pubblicato in origine su Korova, l’etichetta di Echo & The Bunnymen) che nonostante il marziale incedere e la tutt’altro che carnascialesca atmosfera ha contribuito a sdoganare The Residents anche nel Vecchio Continente; “Burn Baby Burn”, ossessiva e zuccherosa come un chewingum che non si riesce a staccare dal palato. E si potrebbe andare avanti così, all’infinito o quasi.
Erra, tuttavia, chi nella sterminata produzione degli americani ritiene che tutto sia follia – per quanto lucida, sempre di follia si tratta… – e caos neppure troppo calmo: nel mare magnum di questa raccolta ci sono esempi di pop alto come manco le band scozzesi dei primi Ottanta.
Prendete il tempo per gustarvi tutte le cento sfaccettature di “Semolina”, scritta nel 1978 e da sempre uno dei pezzi immancabili nei live, e riflettete sul fatto che tutto ciò che i Flaming Lips ritengono sinonimo di originalità, The Residents con i loro immancabili travisamenti lo hanno già fatto. Probabilmente, meglio.
Gabriele Pescatore
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