Tre anni fa parlavamo della “liberazione” di St. Vincent, giunta alla fase della divertita estroversione. Masseduction ne segna l’esplosione. Durante il tour del precedente disco omonimo la songwriter si immolava agli schermi dei telefonini branditi dagli spettatori. Ora rinasce come diva che sovverte gli stereotipi di genere.
E apre a temi come cuore, desiderio e successo con autoironica vulnerabilità. Il codice estetico è spregiudicato: culi in bella mostra e stoffe leopardate.
Il codice sonoro è spregiudicato: glam pop, reso sinuoso da nuance funk, reso robotico da calibrati inserti sintetici.
Le inconfondibili, acidissime, scariche di chitarra elettrica che mandano a fuoco ogni cosa ci sono sempre, ma un guitar hero post-moderno non ha bisogno di sfoggiare i suoi superpoteri. Tra le poche icone rock contemporanee, Annie Clark gioca con le figurine di David Bowie, Prince e Madonna, con stranezze spaziali, pioggerelline porpora e raggi di luce strobo.
Dispone una serie di mine radiofoniche, prodotte con Jack Antono: la schizofrenia drogata e commovente di “Pills” (con il sax di Kamasi Washington e i cori dell’ex-fidanzata Cara Delevingne), il mix “Blur+M.I.A.” di Sugarboy, l’amore fuori di testa di “Los Ageless”.
Le fantasie dalle chilometriche gambe R’n’B di “Savior” (“You dress me up in a nurse’s outfit”, “Dress me in leather” e così via) o le splendide ballate trainate dal piano “New York” e “Smoking Section”, che cala il sipario anche se “It’s not the end”.
“Please”, ancora, Lady Stardust.
Elena Raugei
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