Restituire al progressive un’identità seducente e adatta anche al grande pubblico e ai grandi numeri, senza per questo rimetterci in termini di qualità e caratura artistica. Con questo suo nuovo lavoro da solista, To The Bone, il frontman dei Porcupine Tree Steven Wilson sembra riuscire proprio in questo intento, peraltro a lui non nuovo nel corso della sua carriera.
Storicamente il progressive, per come è nato, è piuttosto un genere legato all’ascolto individuale e in contrasto con la dimensione del 45 giri o del singolo di successo. Wilson trova con questo disco un compromesso eccellente: sonorità aperte e godibili unite a un bel gusto per la scrittura, dall’energia della title track posta in apertura fino alla più melodica e intimista “Refuge”, passando attraverso i tocchi di elettronica di “Song Of I”.
Ad arricchire il tutto riscontriamo la cura negli arrangiamenti, cardine di un suono epico, maestoso e ormai ben riconoscibile all’interno del panorama del genere. Tra le fonti di ispirazione di Wilson ci sono stavolta lavori di prog moderno (che lui stesso definisce progressive pop), che lo hanno preceduto su questa medesima linea artistica, come ad esempio So di Peter Gabriel.
Parliamo di un percorso in costante crescita, lungo il quale Wilson è riuscito a ritagliarsi un ruolo di prestigio. To The Bone ne è l’ennesima conferma.
Giulia Nuti
Tracklist:
- “To the Bone”
- “Nowhere Now”
- “Pariah”
- “The Same Asylum as Before”
- “Refuge”
- “Permanating”
- “Blank Tapes”
- “People Who Eat Darkness”
- “Song of I”
- “Detonation”
- “Song of Unborn”
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