Prodotto da Jon Landau, l’album mostra il classic rock del Boss leggermente sporcato dai suoni sintetici tanto in voga in quei primi anni ’80.
Ma, allo stesso tempo, anche lo straordinario, inesauribile talento compositivo del rocker del New Jersey: basti pensare a ballate affascinanti come “My Hometown”, a Rock song come “I’m On Fire” o a gloriosi inni come “Dancing In The Dark” e “Glory Days”.
La titletrack, “Born In The Usa”, viene composta da Springsteen pensando agli effetti che ha avuto la guerra nel Vietnam sugli americani. Un nuovo arrangiamento quasi epico e un videoclip che alterna immagini live di Springsteen e della sua E Street Band con bandiere a stelle e strisce che sventolano e immagini stereotipata di vita americana sembrano dare al brano un significato retorico, conservatore e patriottico, piuttosto lontano da quello dell’originale ballata acustica incisa dal Boss nel 1981 (come soundtrack dell’omonimo film del regista Paul Schrader) e poi accantonata.
La polemica divampa quando, in piena campagna elettorale, il presidente Ronald Reagan dichiara che “il futuro dell’America si basa sui sogni che covano nei cuori dei suoi cittadini, alimentati da canzoni bellissime come quelle di Springsteen“. Subito dopo, il suo sfidante alla presidenza, il democratico Walter Mondale, annuncia che da sempre Springsteen è un suo sostenitore.
Jon Landau, manager di Bruce Springsteen, con un comunicato ufficiale prende le distanze da entrambi i candidati. Ciò nonostante, Born In The Usa entra nella storia.
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