Tra il pubblico in sala, c’è il critico musicale Jon Landau. Ha una fama sinistra: sulla rivista Rolling Stone ha stroncato, senza pietà, alcuni grandi delRock: da Eric Clapton ai Rolling Stones (dando zero stelle al loro acclamatissimo album “Sticky Fingers”) sino addirittura a Bob Dylan, massacrato ai tempi di Blood On The Tracks.
Landau è lì per un reportage del Real Paper, un settimanale assai influente della controcultura bostoniana dei primi anni ’70. La musica di Springsteen lo cattura, lo travolge, lo affascina.
“Stasera“, dice, “c’è qualcuno di cui posso scrivere come avrei sempre voluto fare: senza alcun tipo di remora. In una giornata in cui avevo il bisogno di sentirmi giovane, lui mi ha fatto credere che quella di stasera fosse la prima volta in cui io ascoltavo musica Rock. Dopo le sue due ore di concerto mi sono chiesto: può esistere davvero qualcuno così bravo, qualcuno che mi parli in modo tanto significativo, qualcuno che suoni Rock con tale energia e in modo così glorioso?
Lui è capace di tutto: è punk rocker e poeta di strada, leader di una band da bar e ballerino classico, attore e pagliaccio, chitarrista, cantante e compositore squisito. Guida la sua band come se fosse la cosa che ha fatto da quando è nato. Oggi, non riesco a pensare a nessun altro bianco che sappia fare così tante cose così bene“.
“Stasera“, conclude Landau, “il grande Rock del passato mi è sfrecciato davanti agli occhi. Ma ho visto di più. Stasera ho visto il futuro del Rock ‘n’ roll: il suo nome è Bruce Springsteen“.
La Columbia Records, casa discografica di Springsteen, utilizza quest’ultima frase di Jon Landau come slogan per la campagna pubblicitaria del nuovo album del Boss. Di lì a qualche mese, Jon Landau entra a far parte del management di Springsteen contribuendo da allora ad oggi in modo sostanziale alla folgorante carriera del rocker del New Jersey.
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