Nel bel mezzo del Texas repubblicano e a poche centinaia di chilometri dal confine col Messico, in quel crocevia di contraddizioni che dev’essere stata Austin negli ultimi tempi, i Black Angels hanno preso per mano le ansie e le incertezze cresciute con la campagna presidenziale e l’ascesa al potere di Donald Trump per scrivere la loro “canzone di morte”.
Del resto, per quanto la musica del quintetto statunitense ami immergersi in atmosfere lisergiche e stranianti, gli angeli neri dello psych-rock americano non hanno mai rinunciato a lanciare messaggi ben più materiali, come testimoniano vecchi pezzi quali “Don’t Play With Guns” e “War On Holiday”.
Qui però, in queste undici tracce che segnano l’esordio su etichetta Partisan, il tema è più circoscritto, e più che nei singoli brani si riverbera sull’atmosfera generale del disco, dalle atmosfere angoscianti del primo singolo “Currency” alla marcia desertica e funerea di “Estimate”, con “Death March” che si perde nel labirinto di voci di Alex Maas che echeggiano come in una stanza vuota e “Life Song” che chiude l’album a mo’ di preghiera, avamposto di una speranza che non deve spegnersi.
Death Song è dunque il lavoro più politico dei Black Angels, e non fa che ostentarlo: si parla di divisioni, di angoscia e, appunto, di morte. Ma, oltre la protesta, è anche un’opera ricca di spunti musicali di assoluto valore, perché i cinque di Austin sono anche e soprattutto dei grandi autori di canzoni.
“Half Believing” è una delle migliori ballad scritte dal combo texano, la folgorante “Hunt Me Down” porta le chitarre fuzz su metriche che accarezzano il funk e “I Dreamt” schiude la tensione in un ritornello liberatorio, Maas nei panni di sciamano rock.
E ancora, la distopia metropolitana di “Medicine” che rimanda ai Suicide, il muro sonoro che dà il La all’equilibrismo melodico di “I’d Kill For Her” e le bordate quasi noise che imperversano nella quiete apparente di “Comanche Moon”: questi sono i Black Angels al loro massimo splendore, e questo è il loro nuovo incubo in technicolor.
Fabio Guastalla
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