Il lato negativo dell’essere un gran bel chitarrista, capace di far cantare lo strumento come pochi altri e di competere con i più grandi, è che se poi ti azzardi a mostrare la tua anima di songwriter scrivendo e interpretando sofisticate canzoni pop una bella fetta del tuo pubblico finirà inevitabilmente per storcere il naso.
È il destino di musicisti come John Mayer, ma è un fenomeno osservato anche in personaggi molto più vicini a noi come Alex Britti o in artisti di successo planetario come Eric Clapton: per un certo tipo di pubblico, quello formato tipicamente da chitarristi e bluesofili in generale, è quasi un “tradimento”.
Eppure, guardando da una prospettiva diversa, la versatilità e la varietà dovrebbero essere un pregio, se i risultati sono convincenti e la musica è genuina.
Da eclettico inguaribile, forte di una carriera fulminante che, non ancora quarantenne, ha già fruttato decine di milioni di album venduti e un bel numero di premi, Mayer ha confezionato un nuovo lavoro in cui dimostra ancora una volta di aver assimilato perfettamente linguaggi e stili diversi, riuscendo comunque sempre a imporre un deciso tocco personale, grazie a una voce dal timbro inconfondibile e alle sue doti di autore.
L’album è stato registrato nei Capitol Studios di Hollywood e ancora una volta è prodotto dal batterista Steve Jordan, ricomponendo di nuovo il trio elettrico di Mayer grazie alla partecipazione dell’inimitabile Pino Palladino al basso. 12 le canzoni, tutte firmate dall’artista americano, unica ospite Sheryl Crow nella canzone “In The Blood”.
La scelta della prima canzone a rappresentare l’album è caduta sul pezzo iniziale, “Still Feel Like Your Man“, con un video sofisticato in cui Mayer non si prende troppo sul serio sulle note di un soul leggero e ritmicamente accattivante.
The Search for Everything prosegue senza particolari sorprese il percorso artistico di Mayer sull’onda di una vena intimista e raffinata, a volte anche ironica. Il chitarrista si tiene costantemente un passo indietro rispetto al cantante, ma un ascolto attento dell’album è decisamente istruttivo come esempio di abilità e talento nell’orchestrare chitarre su chitarre, creando amalgama musicali di grande efficacia.
Mayer passa con la massima tranquillità dalla Motown dell’ultimo Marvin Gaye, con i migliori falsetti d’ordinanza, ad echi di un James Taylor meno sereno del solito, interpreta a modo suo la tradizione bianca americana con un gospel atipico e poi ritorna alla black music patinata, curandone ogni dettaglio.
È sempre più evidente il talento innato per la scrittura di canzoni dal ritornello implacabile, per trovare ogni volta la frase più suggestiva, quella che ti entra in testa per non uscire più.
Se c’è un pericolo per John Mayer è forse quello di indulgere troppo sul suo lato intimista, col rischio di sembrare a volte un po’ dolciastro, ma l’abilità nel vestire le canzoni del giusto suono e del più sobrio ma efficace arrangiamento risulta vincente, come nella conclusiva “You’re Gonna Live Forever In Me” in cui gli archi rimangono in agguato fino alla fine senza mai arrivare all’ovvia ma scontata esplosione.
Lo stesso vale per “Love on the Weekend” e anche per “Never On The Day You Leave”, ballad intensa e avvolgente in cui Mayer riesce a citare se stesso riprendendo linee melodiche che riportano ad altri suoi successi.
Si distaccano dal gruppo lo strumentale “Theme from ‘The Search for Everything'” in cui a cantare è la sola acustica, e “Roll It On Home”, country-song senza mezzi termini giocata sul classico tappeto di steel guitar esibendo sempre il fraseggio giusto, la melodia più efficace.
Basso profilo o no, dietro alla voce di John Mayer c’è un carosello di chitarre elettriche e acustiche che vale la pena di ascoltare per chi ama il gusto e l’equilibrio. In un album che quasi per definizione evita di esibire tropo la tecnica strumentale, sono pochissimi i momenti in cui la chitarra ruba, anzi, prende in prestito, la ribalta come nella efficace “Helpless”, che parte con un groove rubato ai migliori RHCP per evocare i migliori esperimenti di white soul di artisti come Phil Collins o David Bowie.
La differenza è che Mayer non ha bisogno di chiamare Stevie Ray Vaughan quando tutto si fa blues.
La tracklist dell’album:
- Still Feel Like Your Man
- Emoji of a Wave
- Helpless
- Love On The Weekend
- In The Blood
- Changing
- Theme from “The Search for Everything”
- Moving On and Getting Over
- Never On The Day You Leave
- Rosie
- Roll It On Home
- You’re Gonna Live Forever In Me
Cover photo by maveric2003 – CC BY 2.0
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