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I registratori multitraccia

Sin dai primordi la registrazione affascinò i musicisti colti e non, per la grande capacità di immortalare segnali originali, di effettuare sovrincisioni e/o di elaborarle, in particolare dopo l'avvento del nastro magnetico!

Sin dai primordi la registrazione affascinò i musicisti colti e non, per la grande capacità di immortalare segnali originali, di effettuare sovrincisioni e/o di elaborarle, in particolare dopo l’avvento del nastro magnetico!

Negli anni ’30 sperimentatori quali il jazzista Sidney Bechet, che riversò segnali da più registratori mono per realizzare un brano totalmente da solo, che Pierre Henri Marie Schaeffer, che si occupava di musica elettronica con diffusione di audio multicanale, fecero i loro passi, ma il vero sviluppo si ebbe grazie al chitarrista, compositore e fonico ante-litteram Lester William Polsfuss, il cui nome è legato sia alla prima chitarra elettrica solid body Gibson che agli esperimenti con nastri e registratori coinvolgendo in questa sperimentazione la moglie, la cantante Mary Ford, che prestò la sua voce per molte incisioni, creando una vera e propria polifonia, stupefacente per gli anni ’50.

Queste sperimentazioni lo portarono a collaborare con Ampex per la creazione del primo 8 tracce, seppure come prototipo personale. La Ampex prese la palla al balzo ed iniziò a produrre il primo registratore commerciale a 3 tracce, che si dimostrò una vera rivoluzione perché consentiva di registrare la musica su due tracce (sovrincidendo o creando una traccia stereo) mentre la terza traccia era riservata al cantante solista.
I registratori a 3 tracce furono diffussisimi fino alla metà degli anni ’60, ad appannaggio fra l’altro di Phil Spector e le sue produzioni “Wall of Sound”, le prime hit della Motown etc…

L’Ampex 8 tracce 5258 era basato su una meccanica da 1″ con elettroniche Ampex 350 modificate, alto 2,1m e dal peso di110kg. Fu scelto il formato 8 tracce perché era il più affidabile e “largo” allora con altezza di 1,8mm per traccia. Fu venduto dalla Ampex a Les Paul per 10.000US$ nel 1957 e fu ribattezzato “Octopus”.

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L’8 tracce di Les Paul (sulla destra) nel suo studio personale

Ovviamente il passo successivo fu il registratore a 4 tracce “indipendenti” che fornì a musicisti, fonici e produttori una creatività notevolmente superiore, ma l’indiscusso innovatore/sperimentatore dalla metà degli anni ’60 fu piuttosto Sir George Martin che insieme al fonico Geoff Emerick iniziò a mandare i nastri al contrario, usare il variatore di velocità (vari-speed), fare riversamenti di diverse tracce su una sola, usare la voce di John Lennon tramite il Leslie ed il sistema ADT (Automatic Double Tracking) di Ken Townsend per realizzare per la prima volta nella storia produzioni pop che potevano esistere solamente in studio.

Ciò contribuì anche alla fama dei fonici degli Abbey Road Studios che sopperivano al numero ridotto di tracce con una serie di riversamenti (ossia da un nastro quattro tracce si mixava su una traccia, o due al massimo) con grande maestria, mantenendo il rumore di fondo al minimo.

Dall’altra parte dell’Atlantico ci fa piacere menzionare il lavoro di Brian Wilson dei Beach Boys che per il disco Pet Sounds del 1966 fece un uso massiccio ed innovativo di nastri a 4 tracce, per riversare il tutto su uno dei primi 8 tracce… anche se da questo LP restarono fuori le 90 ore di studio per il capolavoro.

Infatti la 3M aveva introdotto il registratore 8 tracce su 1″ M-23 nel 1966 (registratore che finì anche negli studi personali di Pete Townshend e John Lennon), cui la Ampex rispose con il modello MM1000 nel 1967, ma in quegli anni c’erano anche aziende scomparse prematuramente nonostante la loro affidabilità meccanica, quali la Scully etc…

Importante notare che i nastri a 4 tracce furono usati negli anni ’70 anche per la cosiddetta quadrifonia, con dischi quali The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, che vide la luce in una sala prove (forse di proprietà dei Rolling Stones, ma neanche David ne è certo al 100%) dove la sequenza originale venne aumentata di velocità per ottenere quella famosa definitiva, e Tubular Bells di Mike Oldfield; questa tecnologia che fallì per i diversi standard di codifica previsti per i dischi (fra i quali gran parte dei teutoni Kosmische Kuriere) è tuttora considerata la madre di tutti i sistemi surround.

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Versione quadraphonic di DSOTM dei Pink Floyd

Nel 1968 la Ampex commercializzò il registratore MM1100 nella versione 16 tracce su 2″ che consentì finalmente produzioni complesse senza necessità di fare molti riversamenti tanto da far affermare a Roger Daltrey che non c’era bisogno di avere più di 16 tracce per essere creativi al massim. La richiesta di questi registratori esplose ed alla fine del 1971 solo a Londra c’erano 21 studi che usavano questi registratori insieme dotati del sistema di riduzione di rumore Dolby A, che era stato presentato nel 1965. 

Il segnale in ingresso è diviso in bande di frequenza da filtri 12 dB/ott, il compander ha soglia a -40dB, con un rapporto 2:1 per compressione/espansione di 10 dB. Ciò fornisce una riduzione del rumore di circa 10dB secondo gli scritti di Ray Dolby. Un’ulteriore evoluzione dedicata al mercato professionale è stato il Dolby SR che fu introdotto nel 1986 ed usava filtri più “aggressivi” per portare la riduzione del rumore alle frequenze superiori a ben 25dB (reali) dando al nastro la stessa dinamica delle attuali migliori DAW (…ma restiamo nell’analogico!).

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Ampex MM1100

Oltre al dolby furono realizzati diversi sistemi quali i dbx Type I e Type II, il tedesco Hi-COM e l’italianissimo Hiletron: il limite di questi sistemi era nella forte compressione “mono-banda” che creava perturbazioni udibili in particolare con dinamiche spinte ed impulsive. Ciononostante il dbx ed il Dolby S furono adottati da aziende quali Tascam e Fostex per realizzare registratori con meccaniche meno critiche, portando 16 tracce su 1/2″ o 24 tracce su 1″, dedicati principalmente a registrazioni pop.

Negli studi pro degli anni ’80 (e spesso tutt’ora) si trovano queste meraviglie le cui meccaniche erano servo-assistite, consentendo la sincronizzazione fra due (generalmente) o più macchine: in questo caso per la sincronizzazione era usato il codice SMPTE che consentiva anche l’eventuale sincronizzazione con macchine video a testine rotanti, ma con grossi rischi e prezzi oggi inimmaginabili.

Ora vediamo un aumento di interesse verso le macchine analogiche (adoratissime da musicisti creativi quali Hendrix e Zappa, passando per Robert Fripp & Brian Eno e il toscano  Franco Falsini, giusto per nominare alcuni di quelli che piacciono a me!) alla ricerca di quel “carattere” dato dalla saturazione del nastro e/o dalle sue “non-linearità” nella risposta in frequenza che somigliano molto al comportamento dell’energia musicale.

Quindi sono di nuovo ricercate macchine pro quali le Studer (divisione pro della Revox) o le giapponesi Otari degli anni ’80 e ’90 , che avevano soppiantato le storiche macchine statunitensi la cui costruzione terminò all’inizio degli anni ’80.

Un mio piccolo consiglio per chi volesse cimentarsi: prima di tutto cercate un tecnico affidabile in grado di farvi regolarmente tutte le tarature e la necessaria manutenzione, e magari che abbia un gran bel cassetto di ricambi!

Francesco Passarelli

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