Era il 1990 e ricordo che un amico mi disse “Sebo, è appena uscito il nuovo album dei Megadeth. Hanno un chitarrista strepitoso, si chiama Marty Friedman!”
Eravamo negli anni caldi per la chitarra elettrica, anni in cui un sacco di grandi Guitar Heroes si alternavano sulle copertine delle riviste specializzate, anni in cui il chitarrista nella band era un po’ come il fuoriclasse della squadra di calcio.
Ovviamente fui incuriosito da questa imbeccata ed andai subito a comprarmi il disco in questione. Mi colpì moltissimo questo chitarrista. Era qualcosa di nuovo, di diverso, di assolutamente non scontato in un genere che, comunque, spesso pretendeva dei cliché da parte di chi lo interpretava. Marty Friedman aveva un fraseggio melodico e usava soluzioni molto inusuali, dando al momento del solo un carattere molto personale e distintivo.
Molti dei suoi soli, a partire da quello sul brano “Tornado of Souls”, divennero dei classici del genere e tutti i chitarristi che succedettero a Friedman nei Megadeth risuonarono quelle parti nota per nota, quasi ad interpretare un brano di musica classica con il massimo rispetto per il compositore originale.
Pur non essendo un fan sfegatato della band, seguii attentamente tutta l’era Friedman nei Megadeth perché adoravo il suo stile. Mi spiacque apprendere della sua separazione dal gruppo, anche perché per un po’ si persero le sue tracce.
Arrivò però nel 2004 una bella notizia: Marty Friedman aveva iniziato ad utilizzare chitarre Ibanez ed era disponibile a fare delle clinics in Italia.
La notizia mi riempì di gioia e curiosità, perché non vedevo l’ora di incontrare da vicino uno dei miei chitarristi preferiti.
L’organizzazione del tour avvenne tramite i marchi, perciò all’epoca Ibanez e Crate, e il primo contatto con Marty fu proprio quando andai a prenderlo in aeroporto.
Arrivò quindi quest’uomo molto esile a cui mancava la foltissima chioma che l’aveva sempre contraddistinto nei Megadeth. Aveva infatti drasticamente accorciato i suoi capelli ad una lunghezza medio/corta. Marty era molto tranquillo e riservato, molto educato e molto più dedito ad ascoltare piuttosto che a parlare.
Scambiammo le prime chiacchiere e subito capii che a lui non interessava granché il mondo della chitarra da un punto di vista tecnico. La sua richiesta tramite Ibanez era di una chitarra a ponte fisso con dei buoni pick up, qualunque modello sarebbe andato bene. Nessun accenno a marca o scalatura di corde, setting, niente di niente.
Stessa sorte toccava all’amplificatore che sarebbe stato utilizzato senza alcun effetto collegato e il suono che ne derivava sarebbe andato comunque bene.
Marty allora viveva già da qualche anno a Tokyo e il suo stile nell’abbigliamento era abbastanza influenzato dalla moda locale. Stivali con zeppe che lo alzavano di 10 centimetri e giacche e magliette molto sgargianti. Era ed è tuttora molto appassionato di moda, perciò la sua eccitazione all’idea di visitare Milano e i suoi famosi negozi era molto grande, decisamente superiore a quella per le clinics.
Siccome stiamo parlando di 12 anni fa, le clinic erano ancora molto popolate e i 5 appuntamenti organizzati con Marty ebbero un grande successo. I metal kids sono da sempre stati una categoria molto fedele ai propri beniamini, perciò i fan dei Megadeth vennero in massa per vedere dal vivo uno dei simboli del periodo più fulgido della band.
Marty teneva molto a portare in giro il suo repertorio solista e a promuovere il suo periodo post Megadeth, perciò reagiva quasi un po’ stizzito alle richieste di eseguire qualche brano del suo passato nella band. Preferiva dire di non ricordare certi brani piuttosto che distogliere l’attenzione dalle song di Music for Speeding, la sua nuova release dell’epoca.
Ricordo che, prima di partire per le clinics, mi chiese se secondo me 4 brani sarebbero stati sufficienti…”certo che no!” risposi io. Con 4 brani suoni per 20 minuti al massimo, mentre la gente non vede l’ora di sentirti suonare il più possibile. Fu così che mi propose di accompagnarlo alla chitarra per aumentare il repertorio disponibile. Inutile dire che il fatto che allora si portò solo 4 basi si trasformò in una bella opportunità per me!
A fine settimana, dopo le 5 clinic in giro per l’Italia, il nostro rapporto era molto più rilassato ed amichevole e ci lasciammo con l’intenzione di rifare un altro tour appena possibile.
Negli anni appena successivi, Marty iniziò ad usare amplificatori ENGL, perciò trattandosi dello stesso distributore coinvolto, la convenienza nel fare delle clinic con lui era maggiore.
Essendo dalla fine del primo tour in contatto diretto, organizzare i tour e individuare un periodo in cui fosse libero era molto più semplice, perciò di lì ad un paio di anni Marty tornò in Italia.
Marty ama molto la cucina italiana, però non mangia porzioni troppo generose. Per intenderci, difficilmente arriva a finire una pizza di dimensioni normali. Oltre a ciò predilige piatti piuttosto semplici, non troppo elaborati nel gusto, e ama molto il piccante.
Durante il secondo tour, capitò che un giorno a pranzo passassimo da casa mia per risparmiare tempo e ricordo che preparai un piatto di penne all’arrabbiata che Marty gradì tantissimo, tanto che da allora ad ogni occasione in cui siamo a Milano, la sua proposta è sempre quella di andare a mangiare da me, almeno può mangiare ciò che vuole senza doversi scusare se dovesse avanzare qualcosa.
Marty è un esempio di salutismo. Non è un predicatore del mangiare sano, assolutamente. Semplicemente è uno che sta attento a ciò che mangia, non beve alcolici e non fuma. Per questo motivo in Giappone, dove ha anche una grossa carriera a livello televisivo come conduttore di alcuni talk show, è conosciuto come una delle rockstar più in salute del paese e viene spesso utilizzato per promuovere prodotti legati al benessere.
Marty in occidente è conosciuto per essere stato il chitarrista dei Cacophony e dei Megadeth, mentre in Giappone il suo volto entra regolarmente nelle case di tantissimi giapponesi tramite i suoi programmi televisivi, perciò è una vera star e difficilmente può permettersi di girare liberamente in città senza essere assalito dai suoi ammiratori.
Mi sembra inutile puntualizzare che Marty parli perfettamente il giapponese…
Nei tour successivi l’atmosfera è sempre stata molto rilassata e spesso accadevano momenti molto divertenti. Come spesso accade, le prime parole che uno straniero chiede di imparare sono quelle più volgari e offensive, perciò Marty in poco tempo si creò il suo vocabolario del turpiloquio italiano. Una sera, durante una clinic che già si stava svolgendo in un clima molto divertente, un ragazzo fece una domanda piuttosto pungente, al che Marty mi guardò quasi a voler avere la conferma che quello fosse il momento per poter usare il suo vocabolario segreto, dopodiché snocciolò tre o quattro delle parole che gli avevo insegnato, facendo sbellicare dalle risate tutti i presenti, a partire dal ragazzo che aveva posto la domanda.
In quegli anni ogni tanto incontravo Marty anche al Namm a Los Angeles, quando per qualche motivo decideva di andarci anche lui. Ricordo che un anno mi invitò a cena in un ristorante italiano perché voleva che io dessi un mio parere sulla qualità del cibo. Ormai anche lui aveva un’ottima conoscenza gastronomica del nostro paese, ma volle comunque un parere a suo dire più autorevole. Fu così che andammo in questo ristorante in cui capii che Italia e aglio erano per loro due sinonimi, perciò per essere più vicini al tipico gusto italiano bastava mettere tantissimo aglio ovunque!
Qualche tempo dopo Marty mi contattò perché sarebbe venuto in Italia per suonare al Gods of Metal con la sua band e gli sarebbe piaciuto poi rimanere qui per qualche clinic.
Organizzai quindi il tutto e gli preparai anche gli strumenti che avrebbe utilizzato al Gods. Lui nel frattempo aveva smesso di usare Ibanez e si trovava a suo agio con chitarre in stile Les Paul. Gli mostrai ciò che avevo a casa e lui scelse una Les Paul Custom con il logo e i colori di Harley Davidson. Gli prestai quella chitarra per il Gods of Metal e per un concerto a Mosca due giorni dopo. Il destino volle che gli venissero scattare un sacco di fotografie con quello strumento e una di queste è addirittura inserita nella sua pagina su Wikipedia.
Ad oggi Marty credo sia tornato ad usare Jackson, storico marchio dell’epoca dei Megadeth, mentre per gli amplificatori è sempre rimasto con ENGL da parecchi anni ormai.
È sempre stato molto divertente quando qualcuno gli faceva delle domande in merito a come fosse regolato l’amplificatore per ottenere il suo suono. La risposta di Marty era sempre “chiedete a lui, indicandomi, io non ho la minima idea di come si usi quel coso!“. In effetti dopo le primissime clinics ho sempre fatto personalmente il soundcheck per Marty in quanto lui sapeva che avessi bene idea del suono che gli serviva.
Il setting di Marty non è nulla di speciale: un suono piuttosto carico ma senza un gain esagerato, con un’equalizzazione quasi flat. Poi la particolarità del suono esce tutta dalle sue dita.
Marty è veramente un musicista dotato, riesce a suonare su qualunque armonia, su qualunque genere, senza il minimo problema, tutto senza avere un bagaglio teorico e armonico particolarmente grande, anzi, suona tutto in maniera molto istintiva, eppure va sempre ad azzeccare delle note fantastiche, dei licks memorabili.
Molte volte mi sono fatto spiegare nota per nota dei passaggi di alcuni suoi brani e durante la spiegazione mi mostrava varie soluzioni per suonare la stessa cosa, perché in realtà non suonava mai la stessa versione due volte!
Durante tutti i clinic tour che abbiamo fatto ci siamo trovati spesso a jammare e lui si è sempre divertito a dire che io fossi la sua controfigura, vista la nostra somiglianza fisica (i suoi capelli sono ricresciuti in un batter d’occhio dopo il primo tour fatto insieme!).
Questa storia della controfigura ha raggiunto l’apice a fine 2014 durante una clinic a Caserta. Durante quel tour era stato confuso per Marty in un paio di occasioni, perciò quella sera Marty stesso aveva deciso di provare a far andare me sul palco al posto suo per vedere cosa sarebbe successo. Complice il nostro amico Marco, detto il Panda, che si occupava dell’audio e delle luci, ero uscito nella penombra, avevo detto giusto due parole al microfono per non tradire il mio accento italiano e avevo iniziato a suonare un brano di Marty per per fortuna conosco abbastanza bene. A fine canzone, proprio mentre il pubblico ingannato stava applaudendo, Marty era uscito e mi aveva affrontato con il classico “che cazzo fai???” detto in perfetto italiano! Decisamente un altro episodio da incorniciare!
Che dire, Marty è uno dei chitarristi con cui ho fatto più tour, ma non vedo l’ora di rivederlo di nuovo perché sentirlo suonare mi infonde una grande carica. Adoro il suo stile, il suo suono e il suo essere assolutamente al di sopra di qualunque critica tipica del mondo dei chitarristi. Lui suona ciò che gli piace, ciò che in quel momento lo soddisfa, anche se chi lo ascolta potrebbe avere da ridire.
Per chi di voi non l’avesse mai visto, il mio consiglio è quello di non perderlo assolutamente durante il prossimo tour!
Alla prossima!
Sebo
Foto di Orazio Tuglio ed Alex Ruffini
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