Nello stesso numero di Chitarre da cui è tratta questa intervista, il n.45, si parlava di Anthrax con Dan Spitz (State of Euphoria era forse il loro “canto del cigno”?), di Corrado Rustici (produttore e chitarrista in Oro, Incenso e Birra di Zucchero), del grande Egberto Gismonti, nelle recensioni spiccava il primo album solo di Steve Lukather.
Rileggendo la lunga chiacchierata con Santana colpiscono i riferimenti ad argomenti che segnano un’epoca come i primi guitar-synth collegati a costosissimi sistemi come il Synclavier, una tastiera storica come la Yamaha DX7, un oggetto esoterico come la chitarra elettrica della Alembic.
Carlos non è molto coinvolto in queste velleità tecnologiche, preferisce pensare allo studio: si sente studente e impara molto da musicisti più “colti” come Herbie Hancock, Wayne Shorter, il suo vecchio amico John McLaughlin. Tutto oro colato per uno street musician come lui ama definirsi.
Che si tratti di un’epoca molto diversa è evidente anche dagli accenni alla ricerca di vecchi ampli e vecchi pickup, in un momento in cui la qualità della produzione non era evidentemente all’altezza. Oggi le cose sono ben diverse e la corsa a riproporre il suono vintage ha visto tutti i maggiori protagonisti in gara.
Carlos ci dice che ogni giorno inventa una storia diversa per i suoi figli e lo stesso accade quando deve improvvisare un assolo sulla sua chitarra, perché l’immaginazione è un muscolo che va esercitato. Quando entra il figlio nel camerino, gli chiede subito:
“Chi è questo? (allude alla musica trasmessa dall’impianto sul palco)”
“Hmmm… Miles?”
“Bravo… Sta imparando chi sono John Lee Hooker, Miles Davis, Muddy Waters, Bob Marley. È importante che li conosca.”
Accanto a Santana, anche nelle pause, un combo Mesa/Boogie… Se in quel lontano giorno Randall Smith non avesse aggiunto una manopola di Master Volume a un Princeton per ottenere più sustain a volume contenuto e Carlos non l’avesse poi battezzato, non sarebbe nata la leggenda di questi ampli. Nel 1989 Santana ha tre testate Mesa sul palco… due sono di riserva. Ma per gli speaker c’è un segreto in più…
THIS AMP REALLY BOOGIES!
A quanto pare il tuo suono rimane ancora oggi quello di un normalissimo Boogie…
Certo, di un Boogie come questo (indica quello del camerino) con uno speaker Altec da dodici pollici. Uso solo gli Altec e non potrei sostituirli con nient’altro. Gli altri altoparlanti danno un sustain da microfono, questi invece si avvicinano di più a un violino o a una voce umana. Speaker della Altec e vecchi Boogie!
In una vecchia intervista dicevi appunto di essere sempre in cerca dei vecchi Boogie per il loro suono, molto migliore di quelli più recenti. Sei sempre della stessa idea?
Già, è così. Ma ho parlato con Randy Smith, che li costruisce, e mi ha detto che ora produrrà un nuovo ‘vecchio’ Boogie, cioè con le caratteristiche dei primi. All’inizio sembrava che io fossi I’unico a lamentarmi, ma poi anche altri musicisti si sono uniti alle mie richieste e ora… sembra voglia chiamarlo ‘Carlos Santana Model’! Con la chitarra elettrica tutto dipende dall’ampli e dalla mano sinistra.
Ti sei rifatto a qualcuno in particolare per sviluppare il tuo suono?
Il sustain più puro che puoi trovare su disco è quello di Peter Green sull’album A Hard Road (John Mayall & The Bluesbreakers) nel pezzo “Supernatural”. Anche Eric Clapton nei primi due dischi con i Cream aveva un bel suono e poi Jimi Hendrix, ma quanto a sustain il mio modello è stato Peter Green.
SUONARE CON LA PANCIA
Quasi tutto I’album Blues For Salvador – Carlos racconta – è stato registrato di getto, una sola take senza sovraincisioni. In sala si arriva sempre con un certo programma da seguire ma poi la musica più bella finisce su nastro quando cominci con la cuffia ben salda sulla testa e finisci che ti è caduta sugli occhi. È lì chè viene il bello. Quando ti trovi a suonare l’assolo e sei quasi in trance. È bello e pericoloso.
E anche sul palco quindi, quando improvvisi, cerchi di lasciarti andare completamente…
Sì, devi lasciarti andare, entrarci dentro… molti mi dicono che sono cazzate. ma per me è assolutamente reale: quando suono è anche la mia pancia a sentire, le mie gambe, perchè entro dentro le note. Ci sono tanti iazzisti che suonano con molta tecnica, ma non riescono a entrare dentro la nota: ci girano intorno.
Quando sei ‘dentro’ riesci a ottenere anche tre armonici della stessa nota ed è questo il mio obiettivo. Non uso pedali per ottenere il sustain, per cui a volte cerco di testare il palco in precedenza, altre volte mi limito a muovermi intorno mentre suono finché trovo la posizione migliore per ottenere dall’amplificatore il suono che voglio.
Quando suono una nota per me è come cercare di entrarci dentro fisicamente (mima…); a volte alla fine di un concerto il mio corpo è dolorante perché “attacco” letteralmente la chitarra per ottenere quello che cerco!
GUITAR SYNTH vs DIRTY SOUND
In Blues For Salvador hai usato il guitar synth in un brano. Che cosa ne pensi?
Sì, era un controller della Roland. Va bene per i timbri di flauto, di violoncello. A volte cominci a suonare e ti sembra di essere Pablo Casals perché il suono del violoncello è veramente realistico, ma non credo mi piacerebbe usare qualcosa come il Synclavier perché suona ancora abbastanza come una (Yamaha) DX7 e non voglio essere preso per un tastierista. Per quanto mi riguarda sarà un grosso risultato quando elaboreranno un sintetizzatore per chitarra che suona come Jimi Hendrix, T-Bone Walker o Albert Collins, ma usarne uno che non permette di distinguerti da qualsiasi altro tastierista… costa troppo e non ne ho bisogno.
Ci sono chitarristi come Pat Metheny che fanno un uso importante del guitar-synth e del Synclavier nella propria musica. Sull’elettrica lui preferisce una timbrica piuttosto morbida, dolce, e dice di non amare il suono distorto perché non permette un uso sufficiente della dinamica nei volumi. Tu che ne pensi?
No… io credo il contrario. Penso che il suono della sua chitarra sia troppo prevedibile e molto femminile. Posso capirne l’uso in un pezzo, ma in un intero album non potrei mai: manca di carattere. Io vengo da T-Bone Walker ed è quello il suono che mi piace, assieme a Wes Montgomery, Otis Rush… i miei preferiti.
Il guitar-synth va bene per un paio di brani, poi tutto si trasforma in New Age Music, che per me è praticamente “coma music”, come quando in ospedale ti intubano e mettono le flebo. Io ho bisogno di carne, dello “sporco”…
GIBSON, YAMAHA, PRS E SOPRATTUTTO… P.A.F.
Tutti ti ricordano agli inizi e in particolare a Woodstock con la Gibson SG… poi sei passato alla Les Paul. Mi pare ci sia stata anche una L6, è vero?
Sì, ma me ne sono disfatto presto. Aveva un suono controfase interessante ma somigliava troppo a una chitarra Alembic: i loro bassi sono molto buoni, ma le chitarre hanno una voce troppo sottile, debole. Scelsi Yamaha perché costruirono per me la SG2000, ma cambiai immediatamente i pickup con dei vecchi P.A.F. Gibson. Poi, un giorno questi pickup mi abbandonarono per raggiunto limite di età e proprio allora incontrai Paul Reed Smith che mi disse: “Ti voglio mandare una chitarra: se non ti piace rispediscimela.” E la provai… questa chitarra si avvicinava di più a un sassofono tenore, molto mascolina, mentre la Yamaha aveva una voce più femminile, da soprano. Il nuovo strumento, quindi, mi è piaciuto subito di più, soprattutto i bassi…
Che modello di Paul Reed Smith usi ora?
Non saprei. Paul ne aveva appena costruite una ventina e me ne fece avere le prime tre o quattro, quelle che continuo a suonare ancora oggi. Non uso nuovi Boogie né nuove PRS: le ultime suonano la metà, come mezzo uomo! È utile avere uno strumento pesante: se prendi la mia chitarra e una Les Paul vedrai che la PRS è più pesante. L’effetto è lo stesso con il piano a coda: più grande il piano, maggiore il sustain, la lunghezza delle note. La cassa di queste chitarra è piuttosto spessa.
E i pickup sono PRS?
No, sono tutti P.A.F. della Gibson. Adesso lui costruisce anche i suoi pickup, lo so, ma io uso solo vecchi Gibson. E ogni tanto devo andare a cercarli perché anche questi “muoiono” come le persone…
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