Nato circa sei anni fa in quel di Brescia, il progetto Intercity è riuscito in poco tempo a guadagnarsi una discreta reputazione nel settore indie grazie alla pubblicazione di due ottimi dischi particolarmente apprezzati dalla critica, ovvero “Grand Piano” e “Yu-Hu”, rilasciati rispettivamente nel 2009 e nel 2012. Nel 2013, poi, i fratelli Fabio e Michele Campetti hanno dato vita al side-project Campetty, pubblicando il bellissimo e sorprendente La Raccolta Dei Singoli, album di canzoni originali a cui seguì una lunga serie di concerti in giro per l’Italia. Tutto ciò ha inevitabilmente costretto i due musicisti lombardi a mettere in stand-by un discorso musicale ben avviato, ma soprattutto intrigante e valido. Così, terminata la promozione del già citato Yu-Hu, gli Intecity, nati a loro volta dalle ceneri degli Edwood, sono letteralmente spariti dalle scene per circa tre anni. E quindi arriviamo al 21 settembre del 2015, giorno in cui il lungo silenzio discografico della band è stato ufficialmente interrotto grazie all’uscita di un nuovo disco, il terzo disco d’inediti di questo quintetto tanto affiatato da non voler minimamente pensare ad un possibile scioglimento, nonostante i vari impegni dei singoli componenti. Dunque ecco Amur, album interamente realizzato presso il Red Carpet Studio di Brescia e dato alle stampe per conto dell’etichetta Orso Polare Dischi. Ecco servite dodici nuove canzoni frutto di un intenso lavoro di scrittura da parte degli Intercity, in cui oltre ai fratelli Campetti, figurano anche Giulia Mabellini (voce e violino), Paolo “Mellory” Comini (chitarre, basso, synth) e il batterista Dario Fugagnoli. Rispetto ai lavori precedenti, Amur si contraddistingue per un linguaggio meno introspettivo e, soprattutto, per un sound alquanto sfaccettato. Partendo da una precisa impostazione rock, stavolta gli Intercity mettono sul piatto un lavoro ricco di contaminazione, capace di farsi addirittura spiazzante in certi episodi della raccolta. Se in pezzi stralunati come “Un Cielo Cinghiale“ (traccia di apertura dell’album) e “Cavallo” emerge una certa dose di follia, unita però a concretezza e ruvidità, in canzoni più immediate come “Tu“, “Teatro Sociale” e “Reggae Song” gli Intercity strizzano l’occhio ad un pop (rock) godibile e tutt’altro che ruffiano. Il fatto che Amur risulti un disco piuttosto ispirato è confermato dalla presenza di brani di vero spessore. Qualche titolo? Sicuramente “Kyoto“, forse la più bella canzone dell’album, intensa nel testo e molto potente sotto l’aspetto musicale, dove si avverte l’influenza dei “primi” dEUS e degli Scisma (sicuramente importante, in questo episodio, il lavoro svolto dal violino di Giulia Mabellini). Occhio poi a “Indiani Apache“, “Amur“, “Kill Bill“ e la conclusiva “Le Avanguardie“, tutti brani validissimi che, dopo una lunga serie di ascolti, lasciano intuire quanta cura per i dettagli ci sia alla base di un disco del genere. Una cura che comprende tutto: dalla scrittura alla produzione, dagli arrangiamenti all’artwork. Già, l’artwork. Perché agli Intercity non sfugge nulla, e sanno bene che nella musica anche l’occhio vuole la sua parte. E allora, sempre meglio adeguarsi. Alessandro Basile Genere: Rock Line-up:
Fabio Campetti – voce, chitarre
Michele Campetti – chitarre, programmazioni elettroniche
Giulia Mabellini – violino, voce
Paolo “Mellory” Comini – chitarre, basso, synth, voce
Dario Fugagnoli – batteria Progetti simili consigliati: Campetty, Citizen Kane, Iceberg, Granada Circus Tracklist:
1. Un Cielo Cinghiale
2. Tu
3. Teatro Sociale
4. Reggae Song
5. Indiani Apache
6. Cavallo
7. Kioto
8. Amur
9. A
10. Kill Bill
11. Polar
12. Le Avanguardie
Intercity – Amur
Nato circa sei anni fa in quel di Brescia, il progetto Intercity è riuscito in poco tempo a guadagnarsi una discreta reputazione nel settore indie grazie alla pubblicazione di due ottimi dischi particolarmente apprezzati dalla critica, ovvero "Grand Piano" e "Yu-Hu", rilasciati rispettivamente nel 2009 e nel 2012. Nel
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