“Se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare”, eccolo, è questo a mio avviso uno dei più grandi discorsi sul cambiamento, e lo tiene Rocky Balboa a Mosca dopo aver sconfitto Ivan Drago; Tutti applaudono, sosia di Mikhail Gorbaciov incluso, tanto sacro riferimento per parlarvi dell’ultimo, da me attesissimo, album dei Mumford & Sons, “Wilder mind”, che proprio nella pericolosa mano del cambiamento gioca tutta la sua partita. Della mia storia con i Mumford & Sons posso dirvi che in un primo momento mi sono innamorata più di Marcus Mumford nella sua impronta fisica che della musica che faceva, infastidita com’ero da quell’insopportabile banjo spaurito piazzato nei primi due “incerti” album: Sigh no More (2009) e Babel (2012). Non avrei messo la mano sul fuoco su questa rivoluzione sconvolgente nel gruppo britannico, ma sinceramente non mi aspettavo nemmeno che il cambiamento architettato in ben due anni di lavoro portasse ad un risultato (per me ovviamente) così soddisfacente.Il problema è che sento di dover ben specificare il fatto che si tratta di una mia strettissima opinione, perchè leggendo qua e là mi sono resa conto che molti dei fan storici del gruppo sono rimasti estremamente delusi da questa evoluzione, paragonandolo addirittura agli ultimi Coldplay, rei confessi, di Ghost Stories. Ebbene non sono assolutamente d’accordo. Già dal brano “Tompkins Square Park” tutto l’album inizia a prendere una velocità positiva, che non punta a raggiungere un limite ma bensì a non averne affatto, e proprio in questa mancanza c’è la totale libertà di esprimersi in ampie vedute, di sperimentare senza avere il timore di concludere in qualcosa che possa essere catalogato o definito in un modo ben preciso, la consapevolezza nelle parole stesse «No flame burns forever, oh no, you and I both know this all too well, most don’t even last the night.» Una delle cose che mi emoziona di più in questo progetto della famiglia Mumford è che ascoltandolo e riascoltandolo viene fuori che ci credono, che provano, che si lasciano andare; il brano “The Wolf” sembra una danza liberatoria sotto la pioggia, da tipico film anni ’90 sul riscatto di una generazione loser «I want to learn to love in kind cause you were all I ever longed for.» E la “Wilder Mind” che da il nome all’album è tutta un proclama della precarietà, dell’imprevedibilità, di come il lato selvaggio sia spesso non solo quello più puro ma anche l’unico che riusciamo a valozzare senza sentirci vittime del compromesso «It’s in my blood, it’s in my water, you try to tame me, tame me from the start with that deadness in your eye, flash your flesh,desperate for a need to rise.» Vanno così le cose e possiamo solo cantarle così, alterandole non sarebbero più le stesse. Da “Monster“ l’album rallenta e riprende fiato, toccando punte folk con il brano “Cold Arms” dove Marcus Mumford si cimenta da solo con la sua chitarra, creando un clima intimo e confidenziale «But in my cold arms, you don’t sleep, in my cold arms your fear beats, in my cold arms you stay.» Da qui si arriva all’ultimo brano, “Hot Gates“, dove quella meraviglia di verbo “Run” chiude un lavoro decisamente buono «Let my blood only run out when my world decides, there is no way out of your only life. So run on, so run!.» Parlavo giorni fa di questo lavoro proprio con il mio amico Frenc (nessun errore di battitura nel nome), e la cosa che abbiamo pensato entrambi è che il disco lasciava un certo forte desiderio di ri-ascolto, anche se devo lamentarmi del fatto che nel cd originale hanno dimenticato di inserire una parte fondamentale: il libricino con i testi…errore per me gravissimo! I Mumford & Sons stavolta non nascondo la testa sotto la sabbia, non si vergognano di mostrare l’incertezza, che poi altro non è che uno degli organi vitali dell’essere umano, è quella sensazione che risiede nelle viscere più volgari come lo stomaco e nei muscoli più nobili come il cuore e che irrigidisce la massa gelatinosa del nostro impeccabile cervello. Mi piace questa svolta, mi piace questo cambiamento, mi piacciono finalmente i Mumford & Sons.Silvia CieriLine up:
Marcus Mumford – voce, chitarra elettrica, batteria
Ted Dwane – basso elettrico, basso acustico, cori
Ben Lovett – tastiera, sintetizzatore, cori
Winston Marshall – cori, chitarra elettrica Tracklist:
1.Tompkins Square Park
2.The Wolf
3.Wilder Mind
4.Just Smoke
5.Monster
6.Snake Eyes
7.Broad-Shouldered Beasts
8.Cold Arms
9.Ditmas
10.Only Love
11.Hot Gates
Mumford & Sons – Wilder Mind
"Se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare", eccolo, è questo a mio avviso uno dei più grandi discorsi sul cambiamento, e lo tiene Rocky Balboa a Mosca dopo aver sconfitto Ivan Drago; Tutti applaudono, sosia di Mikhail Gorbaciov incluso, tanto sacro riferimento per parlarvi dell’ultim
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