È in uscita proprio oggi per conto del Mascot Label Group, ma già da qualche tempo “Into The Sun” fa chiacchierare i tanti appassionati fan di Robben Ford, che torna a distanza di un anno da “A Day In Nashville” con un album anticipato dalla buona dose di hype che compete produzioni di questo genere. Recensire un album firmato da Robben Ford non è facile per tanti motivi, i più dei quali non hanno a che fare strettamente con il materiale musicale, quanto più con la caratura dell’interprete. Per avvicinarsi alle produzioni discografiche del nostro serve la giusta dose di rispetto, di cautela e la sufficiente conoscenza del lungo elenco di grandi imprese da lui compiute nell’arco di una carriera che ha preso il via sul finire degli anni Sessanta.È difficile scindere dal contesto d’ascolto l’aura mitologica attorniante il nome di Ford a causa di quei dischi divenuti cardine nella definizione di un sound in grado di fare storia a sé stante, e tanto più si prova a rintracciare l’eredità di un così importante passato, più è facile incappare nel retorico. Undici tracce, sei ospiti speciali ad arricchire la tracklist e la solita strabordante quantità di melodie a fare da filo conduttore di un disco che, fin dal primo brano, impone un vibe fresco, giusto compagno della primavera che ne segna l’uscita. A fare d’apripista sono le radici più blues di Ford, si mostrano pescando fra le battute di un’acustica che però non riesce a lungo nell’intento di tenere a freno le prime frasi di un’elettrica dal feeling fin troppo noto. Basta tanto così, quindici secondi scarsi, per ricordarsi il grande potere attrattivo di chi si sta ascoltando. Robben Ford non ha mai avuto bisogno di più di qualche nota per conquistare l’attenzione, niente di fuori luogo rispetto alle note suonate da molti altri suoi colleghi, eppure sempre uniche per espressività ed eleganza.Chi conosce bene la sua discografia lo sa, chi ha avuto la fortuna di sentirlo suonare dal vivo lo sa ancora meglio, e chi, anche con questo Into The Sun, lo ascolta per la prima volta lo imparerà presto: Ford ha un passo vellutato, morbido ma mai timoroso, è quello di chi dialoga con la sfera del sublime e non ha bisogno di ricercare l’unicità lontano da ciò che gli compete per natura.Alcuni potranno dire che Into The Sun non è che l’ennesimo disco blues, prodotto della solita matrice artistica, ennesima variante su un tema fin troppo noto, ma è proprio quella variante il fulcro della questione. Ford non ha bisogno di pescare in tradizioni musicali lontane dal proprio mondo, perché in tutta la sua carriera è riuscito, pur calcando spesso le stesse note, a trovare sempre quel giusto equilibrio tra soluzioni nuove e la propria comfort zone. Robben Ford è uno di quei musicisti in grado di far perdere le staffe a colleghi e appassionati, grazie alla qualità, che gli è propria in maniera incredibilmente esclusiva, di saper suonare “nuovo” anche senza spostarsi poi tanto dai propri cavalli di battaglia. È la cura per le sfumature, per i riflessi e per le ombre, è quel dettaglio che anche dopo soli quindici secondi fa esclamare: “Che tu sia maledetto!” Le parole riguardo ad Into The Sun si potrebbero fermare anche qui, perché all’album non sarebbe servito molto più dei secondi iniziali per vincere il cuore dei tanti appassionati e l’interesse di nuovi adepti, eppure c’è tanto di più.Non si può non citare brani come “Breath of me“, slow tempo affascinante e seducente in compagnia di ZZ Ward, forse uno dei brani più raffinati dell’intero repertorio di Robben Ford. “Song 4 U” (brano che vede ospite Sonny Landreth), “High Heels And Throwing Things” o “Howlin’ At The Moon“, sono altri ottimi esempi del sound coinvolgente su cui l’album fonda il proprio fascino. All’aprirsi di un brano come “Day Of The Planets” sarà invece facile trovarsi ad associarne le sonorità a quelle che hanno fatto la fortuna di band come gli Alabama Shakes, per realizzare poco dopo come Ford non faccia il verso alle nuove leve, ma si limiti ad esplorare, con rinnovata verve, vie già percorse più volte in passato. In fin dei conti la grandezza di Robben Ford è proprio questa: il saper calcare lo stesso palco con la stessa eleganza artistica a distanza di svariati anni. Non è certo un risultato che si raccoglie ripetendo se stessi in maniera ciclica e sedentaria, ma piuttosto una condizione che nasce dall’abilità di saper rinnovare il proprio repertorio con colori nuovi, talvolta osando qualcosa che ai più potrebbe non piacere.Into The Sun è un disco esperto, perché esperto è il raffinato artigiano che lo ha dato alla luce; questa nuova fatica torna a sottolineare quello che per molti era già ovvio da tempo, ovvero che Robben Ford è ormai ascrivibile alla schiera degli inarrivabili. Maestro in sede di scrittura, poeta sullo strumento e delicato chef in fase di scelta degli ingredienti “extra” con cui colorare al meglio il proprio piatto.Per chi conosce la discografia di Ford, Into The Sun sarà un ottimo album con cui aggiornare la propria playlist, per chi ancora non ha approfondito la sua conoscenza potrebbe invece essere un ottimo biglietto d’ingresso in un mondo ricco di grandi momenti. Da anni Robben Ford non ha probabilmente più nulla da dimostrare, motivo in più per godersi beatamente un album come questo, che permette di gustare a fondo la perizia artistica di uno fra i veri grandi nomi del panorama jazz e blues degli ultimi trent’anni.Francesco SicheriGenere: BluesTracklist:
1. Rose Of Sharon
2. Day Of The Planets
3. Howlin’ At The Moon
4. Rainbow Cover
5. Justified (with Keb’ Mo & Robert Randolph)
6. Breath Of me (with ZZ Ward)
7. High Heels And Throwing Things (with Warren Haynes)
8. Cause Of War
9. So Long 4 U
10. Same Train
11. Stone Cold Heaven (with Tyler Bryant)
Robben Ford – Into The Sun
È in uscita proprio oggi per conto del Mascot Label Group, ma già da qualche tempo “Into The Sun” fa chiacchierare i tanti appassionati fan di Robben Ford, che torna a distanza di un anno da "A Day In Nashville" con un album anticipato dalla buona dose di hype che compete produzioni di questo genere. Recensire un
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