Eccoci giunti alla seconda parte dell’articolo di presentazione dedicato ad Andrea Pellegrini, musicista e fonico professionista entrato felicemente a far parte della grande community dei musicoffili. Ricordandovi di leggere, se ancora non l’avete fatto, il primo articolo, vi lascio senza indugi al secondo, ancor più interessante, capitolo della sua storia.Arriviamo alla tua carriera come fonico. Prima di tutto, come devo chiamarti, fonico o ingegnere del suono?
Guarda, l’unica differenza è l’aver acquisito il titolo o meno! Potrei anche dirti la seconda, ma preferisco notevolmente la prima definizione, fonico. Anche perché la bravura dipende da tanti altri fattori oltre al titolo di studio, ovviamente importante, ma non basilare.
Il titolo l’ho conseguito in Inghilterra al Westminster College di Londra, con Laurea in Ingegneria Sonora del Prof. Joshua Reiss, “guru”, in particolare, per tutto ciò che riguarda la conversione analogico/digitale.
Le mie prime esperienze di registrazione, comunque, coincidono con gli anni di svolta post-conservatorio, quando presso un amico del mio insegnante, titolare di uno studio, iniziai a fare alcune apparizioni come turnista. Il colpo di fulmine fu immediato: più mi addentravo in quella vita, dal montare i nastri sul 24 piste alla programmazione MIDI e altro, più capivo che quello sarebbe stato il mio futuro. Da tastierista-turnista mi sono ritrovato spesso tastierista-assistente di studio e da lì l’amore totale per la lavorazione del suono. In breve tempo mi trovai da dietro le tastiere a dietro al mixer.
“Al di là del vetro” come si dice.
Poi però sei partito per Londra. Perché l’estero?
Avevo già una buona conoscenza dell’inglese, la mia anima rock britannica ha fatto il resto. Londra era la mia “Mecca”.
Il 9 Luglio ho dato l’esame di maturità, il 17 ero già lì a cercare casa…
Lo scoglio più grosso per quello che riguarda l’esperienza inglese, oltre al solo essere ammessi all’università, è stato probabilmente l’esame di fisica: materia tragica per me al Liceo.
La cosa che più mi è piaciuta? Tanta, tanta e ancora tanta pratica. Cosa che in Italia, manca. Al di là di alcuni corsi privati, buoni ma spesso molto costosi, è difficile poter studiare a fondo questo argomento, soprattutto in “quel” modo, qui da noi.
A Londra ho avuto anche la fortuna di fare uno stage ai Metropolis Studios, proprio dove i Queen hanno registrato “Innuendo”, sempre per ricordare uno dei miei LP preferiti. Ho potuto varcare anche le porte degli Abbey Road Studios, un posto che trasuda sacralità per chiunque, al di là della fonia.
La concezione della musica e del musicista a Londra, come in molti altri posti all’estero del resto, è estremamente diversa, anche a livello dei fonici. La percezione del musicista come lavoratore c’è anche nel comune cittadino, al contrario del nostro paese. Non voglio essere catastrofista né esterofilo, ma nei fatti è così.Il ritorno nel bel paese è quindi stato “traumatico”?
Per certi versi si, ma anche per abitudini di vita quotidiana che ho dovuto abbandonare. Basti solo pensare che a Londra in un momento qualunque se non sai che fare puoi andartene a teatro o a un concerto, ogni giorno c’è un evento diverso, anzi, tanti eventi. Devo dire che comunque non ho avuto tempo di “annoiarmi”, una volta tornato ho iniziato subito a farmi le ossa lavorando con vari service sia come fonico che come backliner, ma contemporaneamente avevo voglia di un riconoscimento di laurea italiano e così mi sono iscritto al DAMS di Bologna. Dopo tutti i miei studi e le mie esperienze confesso di esserci arrivato con una mentalità un pochino… spavalda.
Che dire, mi hanno fatto sudare e parecchio, non me l’aspettavo, un corso tanto duro quanto formativo. Alla fine è nato tutto da una ricerca personale, come studio approfondito della storia della musica, dell’armonia e in specifico dell’organologia, che è stato il mio esame preferito. Preferito in quanto alla fine mi ha lasciato molto “materiale” in mano, specialmente come arrangiatore, dandomi i mezzi per conoscere a fondo la strumentazione sinfonica e quindi sapere l’estensione di un determinato strumento, la chiave di lettura, l’accordatura e così via.Con quali artisti hai collaborato in questi anni, live e in studio?
Ho avuto la fortuna di lavorare sul palco a vari livelli con artisti italiani e stranieri, non ne vorrei fare una lista noiosa, ma potrei ricordare Scott Henderson, Carl Verheyen, Elio e le Storie Tese, Porcupine Tree, Frank Gambale, Steve Lukather e tanti altri. Ho fatto diversi festival, come Pistoia Blues e Umbria Jazz.
In studio ho avuto altresì molte esperienze dei calibri e generi più disparati, ma devo dire che mi piace tantissimo lavorare con le band emergenti, aiutarle a realizzare buoni prodotti e quando posso dare una mano anche sul lato artistico. L’esperienza più bella in studio?
Probabilmente quella di un quartetto jazz registrato a Firenze con artisti sopraffini quali Roberto Gatto alla batteria e Ares Tavolazzi al contrabbasso. Sicuramente non è stata quella più “importante” come curriculum, ma è stata un’esperienza meravigliosa, poiché regnava sovrana un’armonia perfetta tra le persone. Non c’è niente di meglio del lavorare in studio con grandi musicisti e trovarsi bene immediatamente a livello di feeling personale.Cosa vedi invece nel futuro?
Nell’immediato ho una situazione live come fonico di sala per un noto artista italiano. Sarà una tournée teatrale, il che mi prospetta ottimi spazi in cui lavorare. Poi da quest’anno avrò in gestione lo studio personale di Piero Pelù: il cantante fiorentino ha infatti deciso di aprire le porte del suo bellissimo recording studio a qualunque artista abbia voglia di registrare della buona musica con apparecchiature allo stato dell’arte. Non vedo l’ora di cominciare questa nuova avventura, che si prospetta meravigliosa.
Tra l’altro non conoscevo Piero di persona e ho scoperto un uomo di estrema cordialità nonché un grandissimo esperto di suono, di strumenti musicali e di strumentazione da studio. Ha una collezione notevole di amplificatori da chitarra, di ogni tipo e annata e la sua passione traspare da come ho trovato ordinato l’ambiente di lavoro e soprattutto da cosa esso contiene; insomma, un audiofilo davvero preparato!Se un ipotetico adolescente volesse iniziare un percorso simile al tuo, da dove dovrebbe cominciare?
Innanzitutto lo deve fare nella maniera più seria possibile. Quella è la discriminante e la linea è molto sottile. Divertirsi è bene, ma senza perdersi. La concentrazione, la lucidità, la voglia di fare bene devono essere sempre al massimo. Ci sono anche i lati negativi, quali i continui spostamenti, gli orari bizzarri, le situazioni che possono soddisfare ma anche deludere e spesso sono tante quelle di cui si farebbe volentieri a meno, come in ogni lavoro.
Una base teorica è necessaria, non per forza presso enti universitari e simili, ma un’adeguata preparazione ci vuole. Consiglio di partire dal primo gradino, lavorando come aiuto in studi o presso qualche service: guardare attentamente chi lavora è una grande scuola, bisogna prestare massima attenzione ai dettagli ed avere un buon modo di relazionarsi con le persone.
Sconsiglio vivamente, invece, il buttarsi in acquisti a rotta di collo riguardo le apparecchiature, spesso acquistando materiale non all’altezza: meglio comprare poco, il meglio possibile, ed imparare ad usare bene ed a fondo le macchine che si hanno a disposizione. Non è l’acquisto di una Ferrari che ti trasforma in pilota: stesso discorso vale nella fonia!Ringraziamo Andrea Pellegrini per concederci il suo tempo e la sua competenza. Presto pubblicheremo il primo articolo con il quale inizieremo a trattare in maniera specifica del rapporto tra fonico e musicista nelle attività studio e live, articolo che sarà dedicato alla pre-produzione, artistica e tecnica, di un prodotto musicale.Stay Tuned! Salvatore “badmirror“ Pagano
Andrea Pellegrini
Aggiungi Commento