Salve Musicoffili, ci siamo tutti? Stanno anche riniziando le scuole, quindi di appelli ne avremo piene le tasche e lo evitiamo, almeno qui. Nella scorsa puntata si è parlato della coppia compressore-gate ed oggi passiamo all’argomento riverbero. Una sola parola spesa ancora per l’argomento precedente; è usuale sentire in giro come il compressore venga considerato un qualcosa che “aiuta i musicisti a fare uscire un bel suono dal mix finale”, ed ormai i musicisti, soprattutto i chitarristi, ne fanno largo uso a discapito della dinamica. Se rivediamo cosa abbiamo detto riguardo questo utile processore, notiamo che il suo funzionamento sta nel ridurre le escursioni di dinamica in un segnale. Il volume si appiattisce in un range ristretto, e quello che sentiamo non è più quello che voleva far uscire la mano del musicista. Non facciamo nomi, cognomi ne tantomeno web addresses, ma non c’è nulla di più errato in quella affermazione!Lo scopo di questo corso non è mai stato quello di trasformarci improvvisamente in fonici e quindi le informazioni date vanno approfondite con esperienze personali, tentativi, ore di nastri e Megabytes “sprecate” ecc, ma ci sembra più che ovvio che chi fa il suono è il musicista, tutto quello che utilizziamo noi “dall’altra parte del vetro”, deve servire a migliorare una prestazione irripetibile dell’artista ed a memorizzarla per poterla fruire nel tempo.
Questa premessa andava forse fatta nell’introduzione, ma siamo ancora in tempo visto che sempre di effetti si parla. Teniamo sempre a mente che noi dobbiamo valorizzare il suono, non “farlo”, altrimenti staremmo parlando di sintesi, che è un altro argomento meraviglioso, ma che merita spazio a parte.
Torniamo all’argomento di oggi, ovvero il riverbero.
Quest’ ultimo, insieme alle modulazioni, è forse uno degli effetti più utilizzati da tutti, ed in maniera peggiore.
La sua apparente facilità di uso per come ci viene presentato, ci porta a metterlo ovunque nei nostri mix, e soprattutto a sbagliarne le dosi. Una miriade di preset ci confondono le idee tanto che potrebbero evitare di darci la possibilità di “smanettare” e di personalizzare le regolazioni. Ma conoscendo a livello fisico cos’è il riverbero, risulta più facile prevedere l’effetto sul suono dei vari parametri che ci sono messi a disposizione.
Considerando poi che stiamo simulando un ambiente “ideale” dove ascoltare il nostro pezzo, cominciamo a farcene un’idea in mente, visualizziamolo, e con intelligenza tentiamo di avvicinarci il più possibile alla situazione reale.
Facciamo un accenno di psicoacustica per chiarire la situazione.
Per orientarci usiamo generalmente la vista, in quanto ci dà cognizione delle distanze tra noi ed un qualsiasi punto da raggiungere, o ci aiuta ad individuare un ostacolo ed a reagire di conseguenza per evitarlo. Ma nei casi di oscurità, talvolta senza nemmeno accorgercene, utilizziamo l’udito per “vedere”. Questo perchè, proprio per la conformazione fisica della testa, le nostre orecchie percepiscono un suono in maniera diversa, in quanto per fortuna non coincidono, e possiamo conoscere la nostra collocazione senza vedere. Il cervello elabora entrambi i segnali ricevuti e ci da la possibilità di individuare nello spazio tridimensinale, la sorgente di un suono o di un rumore.
Ad esempio un suono proveniente da una sorgente posta in asse con le nostre orecchie, arriverebbe prima ad una, e poi a quella opposta, con un ritardo dovuto alla distanza fra le due, e con una attenuazione causata dall’assorbimento della nostra testa stessa. Siamo così in grado di capire l’esatta posizione della sorgente.
Ma un’altra cosa fondamentale che ci aiuta, sono le riflessioni.
Sappiamo che le onde sonore si riflettono, anche se in maniera diversa in base al materiale urtato ed alla geometria della superficie, sugli oggetti che trovano lungo il loro percorso. Quindi se noi emettiamo un suono in direzione opposta alle nostre orecchie, non dovremmo essere investiti dal suo fronte d’onda, a meno che questo non venga riflesso. Elaborando il tempo con cui l’onda torna verso di noi, conosciamo la distanza dell’oggetto che la ha riflessa. E così se ci troviamo in un ambiente chiuso sappiamo distinguerne le dimensioni anche senza vedere.
Ascoltereste mai un concerto rock in una cattedrale? O una sinfonia in un pub?
Ogni suono ha delle caratteristiche che lo rende adatto ad un ambiente, di conseguenza ogni genere musicale segue la stessa regola. Dobbiamo quindi ricreare l’ambiente ideale, visto che purtroppo non avremo la possibilità di recarvicisi con i musicisti e l’attrezzatura.
Andiamo a vedere i meccanismi che caratterizzano il comportamento di un suono in un ambiente piuttosto che in un altro. Prendiamo la nostra solita onda in analisi.
Appena emessa, dovrà percorrere una certa distanza prima che venga riflessa e torni indientro. Quindi il tempo che trascorre tra l’ascolto del segnale diretto e la prima riflessione è il primo dato importante, e viene detto “pre-delay time“. Le riflessioni successive, se sono ricevute dall’orecchio con un minimo intervallo di tempo una dall’altra, vengono percepite come un unico suono di intensità via via calante, in quanto l’onda perde energia ad ogni urto effettuato. In termini più tecnici questo fenomeno è detto “decadimento” o “decay“, a cui corrisponde l’omonimo parametro modificabile.
Una parentesi va fatta sul “delay”. Infatti, se il tempo di pre-delay e la distanza tra le riflessioni successive sono troppo ampie, l’orecchio riesce a distinguere suoni distinti, vere e proprie ripetizioni… ecco il delay.
Ora che è chiaro cosa effettivamente è il riverbero, possiamo trasporre il tutto sui pannelli serigrafati delle macchine che troviamo in ogni studio che si rispetti. La tendenza ultimamente è quella di non lasciare all’utente la possibilità di modificare tutti i parametri, che talvolta non compaiono nemmeno più. Ci vengono messi a disposizione parametri come “room size” ad esempio, ed è facile capire che questo parametro va a modificare più aspetti dell’intervento dell’effetto sul segnale, ma non ne abbiamo il controllo completo, rimane tutto un po’ nascosto.
I vecchi processori di effetti invece, anche se potevano risultare un po’ più complicati, ci davano la possibilità di editare finemente tutti i parametri per poter ricreare esattamente l’effetto che avevamo in mente per un determinato pezzo.
Il collegamento di questo tipo di effetti va fatto in aux, preferibilmente spostando l’uscita completamente sul segnale wet e, dal momento che ci ritorna un segnale stereo, entrare in due canali mono (o uno stereo ovviamente), in modo da avere a portata di mano la quantità di riverbero da mettere nel mix.
Questo argomento è fondamentalmente di una semplicità estrema dal punto di vista acustico, ma può comunque dare sfogo alla nostra creatività. Pensiamo ad una stanza come se fosse un processore con un solo preset, senza la possibilità di cambiare le dimensioni fisiche. I parametri di cui parlavamo prima sono così vicini alla realtà che possiamo sperimentarli facilmente. Se proviamo ad emettere un suono tipo un battito di mani, distingueremo facilmente la prima riflessione, che sarà tanto più ritardata tanto più la stanza è ampia. Le riflessioni seguenti invece dipenderanno dalla capacità riflettente dei materiali che rivestono la stanza.
In alcuni casi ci potrà capitare anche di distinguere numerose ripetizioni proprio come dicevamo prima riguardo il delay.
Tutto questo per abituarci ad associare l’effetto alla realtà e non trovarci a “smanettare” cercando di avere un po’ di fortuna e trovare le impostazioni adatte, che non sarebbero comunque quelle che ci danno il risultato che abbiamo in mente.
Dedichiamo le ultime righe all’equalizzazione, ovvero a come i riverberi elettronici intervengono sullo spettro del segnale, per rendere ancora più reale il risultato.
Generalmente viene usato un filtro passabbasso che interviene, seppur minimamente, tagliando le frequenze alte mano a mano che il riverbero diminuisce di volume.
Questo è fondamentale, in quanto le frequenze alte possiedono meno energia, e tendono a scomparire prima durante la serie di urti che compiono, e la soluzione del filtro è la migliore per ricreare questo fenomeno.
Di cose ce ne sarebbero un milione ancora da dire, ma non vogliamo rendere il tutto troppo noioso, né dargli l’aria da “manuale”.
La spiegazione approfondita dei vari tipi di riverbero (room, hall, plate ecc.), ci sembra inutile, per il semplice fatto che, se possediamo un effetto, abbiamo le delucidazioni dettagliate e specifiche per la nostra macchina sul manuale, ma soprattutto perchè l’ascolto è il modo migliore di capire in questo caso.
Perciò ci salutiamo alla solita maniera e ci rivediamo prestissimo con le modulazioni.
Riverberiamo… con parsimonia… ma riverberiamo =)
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