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Giardini Di Mirò – Rapsodia Satanica

Hanno impiegato circa due anni e mezzo i Giardini Di Mirò per chiudere "Rapsodia Satanica", il loro sesto, favoloso album in studio pubblicato il 19 settembre scorso via Santeria/Audioglobe. Il precedente e riuscitissimo "Good Luck" era stato infatti dato alle stampe nel marzo del 2012. Stavolta la band reggiana si r

Hanno impiegato circa due anni e mezzo i Giardini Di Mirò per chiudere “Rapsodia Satanica”, il loro sesto, favoloso album in studio pubblicato il 19 settembre scorso via Santeria/Audioglobe. Il precedente e riuscitissimo “Good Luck” era stato infatti dato alle stampe nel marzo del 2012.

Stavolta la band reggiana si ripresenta sulle scene con un disco le cui musiche traggono ispirazione da un film risalente al 1917 e diretto da Nino Oxilia, “Rapsodia Satanica” appunto. Non è la prima volta che la band di Corrado Nuccini si ritrova a comporre dei brani per un disco basandosi su delle sequenze di un’opera cinematografica: ciò era già accaduto nel 2009. Quell’anno i Giardini Di Mirò diedero vita a “Il Fuoco“, progetto discografico realizzato attraverso la contemplazione delle immagini dell’omonima pellicola di Giovanni Pastrone del 1915.Di “Rapsodia Satanica” stupisce senza ombra di dubbio la grande contaminazione sonora. Bisogna dire che fin dagli esordi i Giardini Di Mirò hanno sempre mostrato una certa predisposizione nel mischiare i generi musicali, senza porsi particolari limiti.In questo caso però la ricerca è tanto evidente quanto importante, significativa. “Rapsodia Satanica” non è un prevedibile disco di musica strumentale di stampo prettamente post rock. “Rapsodia Satanica” è piuttosto un lavoro che palesa un desiderio di esplorazione di suoni e atmosfere a dir poco ammirevole.

All’interno di questo Lp si colgono sfumature abbastanza inedite per il sound di uno dei gruppi indie nostrani più stimati e rispettati da pubblico, critica e addetti ai lavori: oltre alle “consuete” componenti psichedeliche, noise, ambient e, di fatto, post rock, i Giardini Di Mirò riescono ad inserire e a manipolare con grande destrezza il blues, così come le sonorità mediterranee ed orientali.La band, nata nella seconda parte degli anni Novanta a Cavriago, affida l’apertura dell’album ad un componimento sicuramente trascinante e suggestivo come I. Con un suono che ricorda fortemente quello dei primi Interpol, I riesce a stregare l’ascoltatore grazie ad un aumento d’intensità irresistibile, straripante. Attenzione: non è il classico brano fatto di crescendo sonori e di improvvisi rallentamenti. I parte decisamente in sordina, ma nel giro di un paio di minuti inizia a decollare, e si capisce perfettamente che non si abbia a che fare con una traccia effimera ed evanescente.Subito dopo arriva l’intrigante III. E qui si nota fin dal principio quel taglio blues di cui si parlava sopra. È un blues ipnotico, claudicante, psichedelico quello messo in piedi dalla band. Non è un pezzo potente e devastante.Non è una di quelle composizioni che ad un certo punto “partono” e prendono quota. Eppure III finisce per deliziare ugualmente e ben presto per via di un pregevole mood ipnotico. Insomma, esperimento riuscito.E riuscito è di sicuro anche il brano che segue, ovvero VII. Qui ci si sposta in una dimensione affascinante perché eterea anche se ibridata con una bella dosa di influenze mediterranee. Brano incantevole, non c’è dubbio, specialmente per via di un intimismo ammaliante e di una raffinatezza lodevole. Interessante, fra le altre cose, anche il finale pervaso da un arrangiamento corposo, massiccio.Quando partono i primi accordi di pianoforte di XIII ci si accorge di essere già al giro di boa. Purtroppo, verrebbe da dire. Se non altro perché giunti alla metà del disco si percepisce benissimo che si sta ascoltando un Lp magistrale, forse uno dei migliori lavori in studio pubblicati in Italia da gennaio ad oggi.Così “Rapsodia Satanica” va a chiudersi all’insegna della meraviglia: se la già citata XIII sale in cattedra con il passare dei minuti e con l’inserimento graduale degli archi, l’elettronica e sinuosa XVII e la conclusiva XXI incantano per la sensibilità con cui sono state costruite.È incredibile come nonostante tanti anni di carriera alle spalle un gruppo come i Giardini Di Mirò riesca ancora oggi a stupire e a convincere. Ed è sorprendente il fatto che più passi il tempo e più questo autentico unicum all’interno della buona musica italiana sia in grado di tirare fuori dal cilindro produzioni tutt’altro che frivole ed anonime.C’è poco da fare: siamo di fronte ad un progetto che di cose da dire ne ha ancora tante. Buon per loro, questo è ovvio. E buon per noi che a distanza di anni possiamo ancora godere della splendida e sempre rinnovata proposta musicale dei Giardini Di Mirò. Ecco, loro sì che sono una garanzia.

Alessandro BasileGenere: Post Rock

Line-up:
Jukka Reverberi – voce, chitarre, basso, elettronica, armonica
Corrado Nuccini – chitarre, elettronica
Emanuele Reverberi – violino, tromba, sax
Luca Di Mira – pianoforte, tastiere
Mirko Venturelli – basso
Andrea Mancin – batteria
Lorenzo Cattalani – batteria

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Tracklist:
1. I
2. III
3. VII
4. XIII
5. XVII
6. XXI