Il periodo Zeppelin arriva per tutti, si manifesta in tanti modi e con diversi risultati, ma, diceva un mio amico quand’era ormai alla fine della sua carriera, prima o poi tutti sogniamo di stare sul palco alla sinistra di Plant; nella voce del vecchio leone non c’è una sola inflessione che non valga la pena d’ascoltare, l’uscita di un nuovo album di inediti è quindi un’occasione immancabile.
“Band Of Joy” uscì nel 2010 lasciando molti fan di vecchia data a bocca asciutta, ma, essendo uno degli ultimi veri artisti della vecchia guardia, Plant se ne fregò bellamente. Non solo, lasciò tutti quanti a bocca asciutta anche quando la reunion degli Zeppelin era chiesta a gran voce da pubblico, critica ed ex compagni. In fondo non avrebbe potuto essere più coerente: Jason non è Bonzo ed i Led Zeppelin non possono accadere.Encomiabile scelta quella di Plant, considerato il cospicuo guadagno che il ritorno del dirigibile avrebbe potuto garantire. Certo i fasti del passato devono avergli assicurato una buona pensione, ma ciò che conta è l’integrità artistica del personaggio. Non si può certo dire che sia una caratteristica comune a tanti eroi dell’età d’oro della musica “popular”, molti dei quali sono sempre più convinti di darsi nuovo lustro con improbabili riproposizioni di se stessi, e sempre meno capaci di riconoscere il proprio limite.Robert Plant non ha dimenticato i Led Zeppelin e mai lo farà, ha semplicemente voltato pagina. Sempre capace di emozionarsi per i brani che hanno segnato la sua vita, prima ancora che la storia della musica, ma ben convinto del voler provare fino all’ultimo a mettersi in gioco, tentando percorsi distanti da quelli che avrebbero potuto essere naturale prosecuzione di carriera dopo la caduta del Dirigibile.
Il problema di questo nuovo “Lullaby and… The Ceaseless Roar” è che è davvero un gran disco, e per chi come me, per troppo amore, è riuscito a consumare anche “Coda“, ciò rappresenta un vero problema. Come si fa a dire che Plant è riuscito a tirar fuori un ottimo lavoro anche senza Jones, Bonzo e Jimmy? “Lullaby and… The Ceaseless Roar” non è l’ennesima trovata world music della rockstar convertita ad atmosfere sognanti, l’album è un prodotto solido non solo a livello epidermico, ma soprattutto a livello di contenuto.Plant ci ha regalato una manciata di brani davvero preziosi, colorati da sonorità di percussioni tipiche di molta world music, ma certo non votati al semplice bearsi d’aver convertito il proprio repertorio ad arrangiamenti che navigano in flussi di marimba e djembe.“Lullaby and… The Ceaseless Roar” è, per molti versi, un disco rock nell’accezione più pura del termine: diretto, carico di melodie orecchiabili, ma sempre valide, e spinto da un’interpretazione ben al di sopra della media. Plant non avrebbe difficoltà a leggere la lista della spesa e farla sembrare il testo più emotivamente connotato.La fortuna di una capacità simile è il riuscire a ottenere molto con poco (a livello quantitativo), ecco quindi che nella semplicità di testi ben congegnati, ma certo non da premio Pulitzer, l’esperienza di Plant cala l’asso vincente. L’interpretazione alla voce è quella di un attore fin troppo esperto, che conosce il proprio palco centimetro per centimetro e saprebbe cadere facendo apparire il tutto come una piroetta testata in mesi di prove.A sostenere l’ottimo lavoro di Robert Plant c’è una band di caratura davvero stellare, e non per nulla si chiamano Sensational Space Shifters. L’ensemble suona compatto e potente, dando sfogo al lato evocativo di una tracklist che ha più di una freccia al proprio arco per colpire il cuore di chi ama viaggiare con la musica. Non manca nemmeno lo stacco più deciso e capace di esaltare l’ascolto con l’ingresso del giusto riff di una chitarra elettrica, che, in tutto l’album, non nasconde il proprio tributo al vecchio compagno di Plant negli Zep.Cosa volere di più da un album del genere? Assolutamente nulla. Plant è ancora vivo e vegeto, uno dei pochi ad essersi dipinto una nuova identità, parallela e complementare a quella esibita con gli Zeppelin nel tratteggiare i contorni di una figura davvero articolata.
E se poi, sentendolo cantare «…if the sun refuse to shine» in “Pocketful Of Golden“, il cuore vi balzerà in gola, tranquillizzatevi, è la normale reazione di chi è cresciuto con la più grande band della storia del rock. Quella band che nessuno può dimenticare, nemmeno Plant, che si diverte a dare carta bianca alla propria creatività, mentre in sottofondo una puntina solca le tracce di un vinile che canta «The sea was red and the sky was grey; I wondered how tomorrow could ever follow today».Francesco SicheriGenere: Rock/World-Music/PopTracklist:
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