Secondo wikipedia la paura “è un’intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto, è una delle emozioni primarie”; la paura è quindi un qualcosa che appartiene a noi esseri umani, un’infezione che arriva a dominare in maniera subdola la mente e il cuore e, come in questo caso, la produzione di un album di una dolcezza disarmante.
Sia Kate Isobelle Furler, o per brevità Sia, ha fatto del lato oscuro dei sentimenti umani la bandiera dei suoi lavori discografici; una figura fragile, complessa e introversa, tutto quello che una cantautrice del XXI secolo non deve avere la sfortuna di essere, se non vuole rischiare di cadere in un limbo mediatico che, troppo spesso, termina nell’autodistruzione definitiva.
Sfuggito il suicidio per un soffio, con quell’aspetto angelico e quella voce morbida e accogliente, Sia si è salvata, e quattro anni dopo il suo ultimo album We are born (2010) si è ricostruita pezzo per pezzo tornando davanti a noi con un lavoro decisamente complicato dal nome “1000 Forms Of Fear“.Mette sempre le mani avanti questa ragazza, la prima volta che ascoltai “Some people have real problems” (2008) ne restai completamente ammaliata: 13 tracce irresistibili, inequivocabili capacità vocali, una personalità tanto spaventata quanto fermamente decisa ad accarezzare le parti più fragili dell’esistenza in maniera calda e coinvolgente. We are born (2010) si esprimeva con toni che poco mi andavano a genio: il grande successo commerciale della cantante era evidente ma si stava perdendo qualcosa, dov’era quell’umanità ferita, incontenibile e poetica dell’album precedente?
Dal 2010 in poi Sia iniziò a sfornare collaborazioni con grandi nomi del pop commerciale da David Guetta a Rihanna, Madonna, Britney Spears e Katy Perry: scrive per loro pezzi che si piazzano ai vertici delle classifiche di tutto il mondo, brani che ho trovato a mia volta discutibili o interpretati in maniera discutibile.
Aspettavo questo lavoro con ansia e premetto che ad un primo assaggio ne sono rimasta amareggiata e mi son detta: “Ma che roba è?”. Ascoltandolo decine di volte sono arrivata alla conclusione di avere davanti a me un album elettro-pop di buon livello, con dei testi forti segnati da una continua vena autobiografica -soprattutto rispetto a quello che troppo spesso il pop di questo secolo ci rifila- e una voce splendida a dargli vita.Zero lucine e ampi movimenti di fianchi, nessun trucco fantascientifico da photoshop o corpicino ben gonfio esposto come ex-voto di perfezione canora e fisica. Ridotte a poco e niente le comparsate televisive, nessun tour itinerante, uno sfondo nero, un caschetto biondo e una scritta incisa con la punta di un coltello sulla copertina di un album, e probabilmente sullo stesso cuore della Furler.
Non espone mai se stessa, crea dei piccoli alter ego e li lascia in pasto agli occhi del pubblico: l’album si compie in 12 pezzi strabordanti di riflessioni sulla vita, la morte, la sofferenza, la vittima e il carnefice e il brodo primordiale che fa bollire tutto questo assieme dai secoli dei secoli.
Chandelier è l’apertura rigorosamente pop dell’album: in questo video live Sia si esibisce di spalle, non c’è contatto, c’è solo il bisogno di cantare e allo stesso tempo di non sentirsi addosso l’occhio spietato del pubblico. Uno dei primi demoni della sua vita,«my glass full until morning light», è quello che risponde alla regola «1,2,3 drink», che gonfia il feagato e anestetizza dal dolore; è un’altalena di sensazioni con una voce disperata che nel ritornello si impone di pensare che «I’m gonna live like tomorrow doesn’t exist, like it doesn’t exist» sia l’unica cosa valida da fare.E se negli anni ’60 i Four Season cantavano che le ragazze grandi non piangono, qui si ammette proprio il contrario; “Big girls cry” le ragazze grandi piangono ed è naturale, è inevitabile, è giusto se qualcosa viene danneggiato, compromesso non è altro che fisiologico esprimersi di sentimenti vivi. E’ tutto così “1000 forms of fear“: una continua confessione, un flusso dell’anima inarrestabile, una prima persona che affronta vincendo o perdendo tutti gli ostacoli della propria esistenza. Si passa da canzoncine leggere e ritmate come “Burn the page” a “Hostage” – dove i toni si alleggeriscono e la stessa voce si propone felice, allegra e positiva- a ballate tristi come “Straight for the Knife” o “Cellophane“.La conclusione di tutto questo è “Dressed in Black” e mi rendo conto che si è già fatto tutto troppo esasperato: la voce e, soprattutto, la poesia che Sia solitamente usa in modo diverso, qui si trasformano in un ragionamento urlato dal quale non se ne esce indenni, «like a butterfly kissing a child with an eye for the minor key»; tre minuti di canzone e altri tre minuti di puri acuti di voce e di getto il pensiero va a “Treasure” made Cocteau Twins, ma siamo troppo lontani da quella poesia che solo Elizabeth Fraser sapeva creare, è tutto si presenta come un lamento ossessivo.“1000 forms of fear” è lavoro complesso che poteva esprimersi in maniera decisamente migliore; è difficile gestire tutto il dolore che si vive sulla propria pelle, è pericoloso scriverne 12 pezzi, musicarli e farli esplodere nel mondo nella speranza che vengano colti e compresi nel modo esatto, soprattutto senza,in qualche modo, turbare l’animo di chi ascolta. Se da un lato credo che per Sia tutto possa essere stato utile per esorcizzare la paura nella sua forma più nauseante, bella, sublime e orrida, al tempo stesso ne ha fatto la vena pulsante di tutto l’album cantato con gran voce, troppo spesso corrotta dalle ombre di qualche patologia sempre in agguato.Silvia CieriGenere: pop, downtempo, trip hopTracklist:
1. Chandelier
2. Big Girls Cry
3. Burn The Pages
4. Eye Of The Needle
5. Hostage
6. Straight For The Knife
7. Fair Game
8. Elastic Heart
9. Free The Animal
10. Fire Meets Gasoline
11. Cellophane
12. Dressed In Black
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