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Charles Ives, l’assicuratore

I primi anni del '900 americano si colorarono delle sonorità nere e dei ritmi rag di Joplin, non bisogna tralasciare però l'altra fetta della popolazione statunitense, quella bianca, che si trovò in difficoltà non solo per l'avanzare della neonata scena afroamericana, ma ovviamente anche al confronto con l'ingombra

I primi anni del ‘900 americano si colorarono delle sonorità nere e dei ritmi rag di Joplin, non bisogna tralasciare però l’altra fetta della popolazione statunitense, quella bianca, che si trovò in difficoltà non solo per l’avanzare della neonata scena afroamericana, ma ovviamente anche al confronto con l’ingombrante tradizione europea.

Il nome di Beethoven, come quello di altri compositori del vecchio continente, capeggiava nelle sale da concerto di tutto il paese, quasi a monito della supremazia che i grandi maestri europei vantavano sulle giovani leve americane. Non tutti però si lasciavano intimidire dai busti accigliati dei grandi compositori, qualche impavido di ottimo talento giunse presto a far sentire il proprio nome.

Charles Ives, l'assicuratore

Uno di questi fu Charles Ives, che dimostrerà presto di non aver solo gran talento ma di saper anche gareggiare per intraprendenza con le più rivoluzionarie correnti dell’avanguardia europea. Figlio di un direttore di banda, Edward Ives, Charles nacque nel “New England, territorio che nei due decenni precedenti la guerra civile era diventato l’Atene americana per merito di quel gruppo d’intellettuali che gravitavano attorno all’orbita del trascendentalismo emersoniano“(1).

Charles Ives, l'assicuratore

Nathaniel Hawthorne, autore de “La lettera scarlatta” (1850), Henry David Thoreau (“La disobbedienza civile“), il poeta Walt Whitman e non ultimo quell’Herman Melville di “Moby Dick” (1851) e “Billy Bud” (1924).
Il trascendentalismo emersoniano aveva trovato adesioni importanti in campo letterario, in quello musicale aveva invece prodotto una scena di chiaro stampo tedesco. Charles Ives, che nell’orbita trascendentalista rientrava per famiglia, si avvicinò alla musica grazie al padre, che lo stimolò ad insoliti esperimenti politonali e poliritmici fin da quando era ragazzo, successivamente studiò a Yale sotto la guida di Horatio Parker.

La personalità di Ives è indubbiamente delle più interessanti, intricate e contorte, il cui primo exploit si fece sentire pubblicamente nel 1902. In quell’anno la cantata “The Celestial Country” fu accolta con grande successo, lasciando intravedere una carriera di tutto rispetto nel futuro del compositore. Ives, in risposta a tanto clamore, una settimana dopo la prima rappresentazione della cantata si ritirò dalla vita musicale.

Tanto adito aveva dato a stampa e critica il suo genio musicale, che lui decise di dedicarsi al campo delle assicurazioni, in cui, con tutta onestà, ebbe un notevole successo. Ives fu l’inventore di un metodo che culminava nell’imporre al cliente l’acquisto di una polizza che non sapeva di volere. La risposta ai suoi metodi fu coì positiva che Ives decise di codificare le proprie innovazioni in campo assicurativo in un opuscolo chiamato Guida all’assicurazione.

Ives continuò sempre a produrre musica durante i weekend e alla sera dopo il lavoro, malgrado ciò si premurò sempre di tenere nascosto il proprio materiale. Sognava un mondo in cui la musica non poteva essere comprata o venduta, un mondo in cui, forse, la musica non era ancora nata, o perlomeno non nelle forme in cui la si conosceva. Riutilizzava gli insegnamenti accademici ricevuti a Yale in favore di scopi lontani dalle regole canoniche, reinventando e modificando in continuazione. Nel suo isolamento intellettuale Ives creò dissonanze capaci di colpire lo stesso meister Arnold Schoenberg.

Nel 1920 Ives decise di tornare a farsi sentire in veste di compositore, e lo fece con la pubblicazione della Sonata per Pianoforte n° 2 “Concord Sonata” (nome preso dalla città di Concord), una partitura imponente e sconcertante che diede il La alla nascita di un mito. Schoenberg, emigrato a Los Angeles nel 1934, rimase entusiasta della composizione e anni dopo dichiarerà: “C’è un grand’Uomo che vive in questo Paese – un compositore – che ha risolto il problema di come conservare l’autostima e continuare a imparare. Risponde all’indifferenza con il disprezzo. Non è costretto ad accettare la lode o il biasimo. Il suo nome è Ives“.

Era capace di combinare i più disparati elementi americani, al punto che nella sua produzione non si possono distinguere periodi caratterizzati da stili identificabili e categorizzabili. Le tecniche sperimentali convivevano nello stesso brano con elementi tradizionali, senza timore reverenziale.

Come Berg e Bartók, seppe oscillare tra la semplicità folk e la dissonanza” (2). Tradizione e sperimentazione ai limiti del surreale si fusero quindi in una delle personalità più dirompenti del primo ‘900 americano. Echi di campane, citazioni d’inni religiosi americani, arie e marce, il tutto s’intrecciava in un calderone genialmente congegnato, senza timore di essere avvicinati a citazioni di Brahms o Wagner, proprio come accade nella Sinfonia n° 2.

La citazione è elemento costante nei lavori di Ives, sia in veste colta che in veste popolare, quasi mai testuale ma piuttosto utilizzata come evocazione distorta del motivo originario, tanto da renderlo un’ombra all’interno di un flusso musicale simile a quello di coscienza di Joyce. La Concord Sonata si ritaglia uno spazio d’onore nella vita musicale del compositore, e porta alla luce un’altra importante caratteristica del suo bagaglio espressivo: la simbolizzazione.

Con la Concord Sonata Ives vuole rappresentare, rispettivamente in ognuno dei quattro movimenti di cui è costituita, alcune importanti figure associate alla corrente del trascendentalismo.
Questo è il motivo per cui i quattro movimenti della Concord Sonata sono intitolati:

  • I “Emerson“, riferito a Ralph Waldo Emerson;
  • II. “Hawthorne“, riferito a Nathaniel Hawthorne;
  • III. “The Alcotts“, riferito a Bronson Alcott e Louise May Alcott;
  • IV. “Thoureau” riferito a Henry David Thoreau.

Ogni personalità è espressa con mezzi musicali diversi in un rimando continuo alle personalità che avevano dato i titoli. Gli esempi di questa spiccata capacità di Ives di dipingere i concetti in musica sono rintracciabili anche in molti altri brani, fra tutti “The Unanswered Question” è quello che emerge con maggior chiarezza.

The Unanswered Question” (1908) è un dramma metafisico in forma strumentale, forse la creazione più famosa ed importante di Ives. Il dramma vuole raffigurare la continua proroga della risposta che il titolo implica, e lo fa con un disegno atonale, appoggiato su un tappeto sonoro d’archi, che nella sua continua mancata conclusione rappresenta l’interrogativo dell’uomo sul significato dell’esistenza.

Alla ricerca di un’esponente bianco che fosse capace di portare la bandiera statunitense, il continente americano trovò sicuramente buona voce in Ives, personaggio dalle idee molto chiare, non solo in ambito assicurativo. Ives è molto lontano dal ragtime che abbiamo visto nel nostro passato episodio, buon termine di paragone per sottolineare la diversità di produzione musicale con cui si può molto genericamente dipingere la separazione fra popolazione nera e bianca.

Charles Ives si espresse più volte riguardo gli spiritual e la musicalità nera, base di partenza della scena di colore, la cui origine andava ritrovata secondo Ives negli inni gospel bianchi, che i neri avevano ripreso e sviluppato. Secondo Ives per un compositore era possibile utilizzare motivi melodici neri soltanto se fosse riuscito ad identificarsi profondamente con il loro spirito, condizione senza la quale il compositore avrebbe fatto meglio a continuare sulla via tracciata dalla propria tradizione.

Il ragtime non era invece fra i mezzi prediletti da Ives: “Non si può creare musica partendo dal ragtime più di quanto non si può ricavare un pasto partendo da sugo di pomodoro e rafani“. Ives era molto affascinato dalla causa afroamericana, se non addirittura orgoglioso, spesso suonava spiritual al pianoforte e iniziò perfino a progettare una raccolta di brani incentrati sull’America nera.

Questo materiale venne utilizzato infine per il primo movimento del lavoro “Three Places in New England: The St. Gaudens in Boston Common (Col. Shaw and his Colored Regiment)“. Il movimento prende il suo titolo da una scultura di Augustus Saint-Gaudens raffigurante il reggimento del 54° Massachussets Infantry. Il 54° fu uno dei primi reggimenti dell’Unione formati da afroamericani, che nel 1863 perse oltre cento uomini nell’assalto alla roccaforte dell’esercito Confederato Battery Wagner.

St. Gaudens mostra un Ives capace di strizzare l’occhio all’esperienza del jazz sinfonico di Duke Ellington, come anche al country-blues di Skip James e alle atmosfere che saranno di Coltrane, ma sono solo germogli che necessitano del tempo adatto per fiorire. La musica di Ives è un’esperienza davvero unica per la storia della musica americana, capace di spiccare per personalità pur operando un’efficacissima sintesi di culture, tendenze e suggestioni letterarie.
Se è vero che l’eclettismo è la caratteristica più spiccata della musica statunitense, Ives gettò veramente le basi di un rinascimento musicale americano” (3).

Note:
(1) Giorgio Vinay, Il Rinascimento Musicale Americano: Charles Ives, in Storia della Musica, vol.11, p.96, E.D.T. Edizioni Torino, 1991, Torino
(2) Alex Ross, Charles Ives, in Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo,p.218, III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013.
(3) Giorgio Vinay, Il Rinascimento Musicale Americano: Charles Ives, in Storia della Musica, vol.11, p.97, E.D.T. Edizioni Torino, 1991, Torino

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