Difficilmente si riesce a trovare un metodo interpretativo consono per una produzione come quella di Frequent Flyer. Fin dall’inizio si mostra nella sua preponderante natura passionale ed eterogenea, sempre in piena intima fase d’amore con il proprio creatore. Servirebbe un’enciclopedia della musica per poter stilare, senza sbagliar un colpo, tutte le influenze che si ritrovano all’interno di questo disco, splendido, nella sua miscela di neve e sole.
Tanti grandi nomi tra le fila delle tracce, per tante espressioni di quella che è una personalità dai molti volti, capace di svestirsi e ri-truccarsi per tornare sul palcoscenico senza essere mai fuori luogo. Lorenzo Feliciati, non servirebbe forse sottolinearlo, è musicista dalle capacità a dir poco poliedriche e multifunzionali, che trovano sfogo in questo Frequent Flyer esattamente quanto nelle parole dello stesso Lorenzo quando si ha l’occasione di poterlo incontrare.
E’ impossibile dunque non rimanere colpiti dalla vastità della cultura musicale che Feliciati sfoggia, mai troppo pedantemente, in questo suo calembour pentagrammatico. Gioca con dissonanze e note, estensioni delle sue stesse mani, aprendo con un’iniziale atmosfera degna di un film del più jazzistico Spike Lee. Meglio ancora di un 80’s movie di tarda serata dalla fosca atmosfera dismessa.”The Fastswing Park Rules” è l’avvio del disco, dove troviamo anche il sax del grande Bob Mintzer degli Yellowjackets, continuando poi con “Groove First” dove Roy Powell (Fender Rhodes & Moog) e Paulo LaRosa (Percussioni) aiutano Feliciati in un brano caleidoscopico nel suo continuo rincorrersi di note. Sfuggente, impervio, sempre raffinato.
Si prosegue con “93” forse uno dei brani più belli del disco, dove si ritorna alle sonorità d’apertura, riprendendone un po’ le forme, se ce ne sono, e un po’ i toni. Il brano si fa ancora più travolgente quando un arrangiamento d’archi perfettamente calibrato e concordemente “dissonante” con il resto dell’entourage, ci sorprende per un momento nei pensieri più tiepidi in cui è davvero facile perdersi.
Il disco prosegue in una logicità che non trova eguali o paragoni, malgrado ogni brano sia un’opera a se stante su cui probabilmente molti altri artisti si sarebbero soffermati diversamente, Lorenzo Feliciati ha composto un’opera d’opere. Finemente torbida, ambientale e ricca di phatos.
Il tutto si fa roboante quando alla quinta traccia, dal titolo “Footprints”, troviamo tre maestri della batteria italiana. Roberto Gualdi, Stefano Bagnoli e Maxx Furian. La traccia è quasi primitiva, intensa, con una grande interazione tra l’imponente tappeto ritmico su cui si poggia, leggiadro ma determinato, il basso di Feliciati.“Never Forget” calca maggiormente i toni ambient. Un pò Smooth Jazz, un pò alla Brian Eno, con l’apporto di tromba di Cuong Vu e la batteria di Pierpaolo Ferroni.
Ci si ritrova così catapultati nel “lato” finale del disco, dove ritroviamo anche la voce di basso di un altro grande nome, quello di Patrick Djivas, al quale si affianca anche il violino di Andrea Di Cesare. Un’unione splendida tra la forza quasi samba-jazz e la malinconia di un violino che per alcuni fugacissimi istanti riporta a tonalità del Brahms più ungherese. Su “Perceptions” si strizza l’occhio alla New Age per lasciare poi spazio alla chitarra di Daniele Gottardo in “The White Shadow Story”, che riserva nei suoi ultimi istanti conclusivi una geniale svisata funk.
Penultima traccia è “Law&Order”, sarà per le sonorità Hammond di Josè Fiorillo, si fa più austera, quasi aulica, con un passo senza dubbio progressive rispetto al resto del lotto, lasciandosi guidare dalla forza di Daniele Pomo alla batteria.
In conclusione “Thela Hun Ginjeet” riporta all’orecchio anche una voce, quella di Guido Block, che insieme a Roberto Gualdi, fa compagnia al basso di Feliciati per un brano fra i più esotici del disco.Obbligatorio riprendere fiato quando si termina l’ascolto, gli input musicali e non, forniti da Frequent Flyer, sono davvero infiniti. Lorenzo Feliciati è mastro artigiano di un pezzo più unico che raro, dove confluisce tanta energia e tanta sperimentazione. Gusto per il suonare “fuori”, dai canoni e dal singolo simbolo di pentagramma, sempre alla ricerca della giusta correlazione tra l’impossibilità d’espressione di determinati sentimenti, e l’umano desiderio di provarci. Nel punto di dissonanza di tale impasse, si colloca questo disco. Affascinante unione d’esperienza Jazzistica, New-Age e il miglior viso dell’Ambient, tutto condito da esotici spunti percussivi, che dialogano sempre perfettamente con le linee melodiche e solistiche di basso. L’artwork ricorda molto i fotogrammi finali di “I quattrocento colpi” di Truffaut, film che senza dubbio potrebbe adattarsi per ricerca della libertà allo spirito del disco.Un disco maturo, completo, riflessivo e temerario, bella versione di un Feliciati sconfinato, pieno di sorprese che rimandano a tanti altri volti d’autore ancora da rivelarsi.
Mai una nota fuori posto e sempre due note fuori modo, per approdare così, la dove modo non v’è. Francesco “edward84” Sicheri
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