Tra la coltre di foschia qualche segnale richiama l’attenzione, sono solo tracce di una storia che si svolge di là della cortina musicale. La trama che percorre le dieci tracce di “Shields” è fitta, ben costruita dall’unione di diversi sapori che giocano tra di loro a nascondino, in continuo rincorrersi e riprendersi. Il tessuto che compone il disco, ultimo prodotto nella discografia dei Grizzly Bear, è intrecciato a maglia stretta, lasciando però intravedere qua e là i singoli fili, che corrono in ogni direzione coperti da un velo esteriore capace di regalare quel tocco d’indefinizione sempre suggestivo. Così “Sleeping Ute” è ottimo risveglio per un Lp che fa della continuità e coerenza musicale uno dei propri punti di forza lungo tutti i brani che lo costruiscono. Le sonorità cariche d’effetto di una chitarra quasi “stonante”, legano tutti i sapori di un brano che, proprio sul finire, si sospende per aprire ad un accompagnamento arpeggiato di grande effetto. L’atmosfera colma di pathos e dalle molecole palpabili lascia ben presto il posto a “Speaks in rounds”, il brano si apre con un’intro di synth subito seguita dall’ingresso dei colpi di gran cassa e basso, che danno l’incedere del brano. La voce si posa su un tappeto sonoro compatto e asciutto, quasi straniata dal contesto, per proseguire un brano dalle tante sorprese, come l’inaspettato arrivo di una sezione di fiati. “Adelma” è giusto un interludio ambient, piacevole, ma niente di particolarmente eccezionale, funzionale solo per arrivare a “Yet again”, brano fra i più riusciti del lotto. La canzone riporta l’orecchio a sonorità accomunabili ai migliori Editors, quelli di “An end has a start”, per sfociare in un ritornello orecchiabile ma assolutamente azzeccato e mai scontato. Encomio particolare va alla scelta di un comparto ritmico minimale ma quanto mai calzante e capace di caratterizzare il brano in una direzione non prevista. È interessante notare come in diversi modi, e svariati espedienti sonori, la band sia stata capace di dipingere un disco dalle tinte vellutate ma penetranti, mai scontate e torbide nella giusta maniera, tanto quanto basta per incuriosire.Nel mezzo del torpore nasce “The hunt“, brano amabilmente soporifero, forse eccedente in durata, ma capace comunque di arrestarsi in tempo per non annoiare. Uguali parole non si possono purtroppo usare per “A simple answer”, traccia che suona scontata fin dalle prime battute, incapace di variare e riuscir a coinvolgere maggiormente negli abbondanti cinque minuti in cui è dispiegata. Peccato per l’occasione persa, perché alcune idee melodiche risultano sicuramente fra le migliori dell’intera produzione, ahimè finiscono per perdersi nella ripetitività del brano. “What’s wrong” stupisce, forse avvantaggiata dalla propria posizione all’interno della tracklist, è un brano dalle tinte ambient, costruito sull’intreccio delle sovra incisioni vocali e sulla calibratissima architettura di synth. A compimento di un brano davvero interessante giunge a supporto l’intrigante scelta riservata per la batteria, a tratti caratterizzata da un andamento che strizza un occhio al jazz e uno al prog, senza mai cadere totalmente in nessuno dei due. Il trittico che chiude il disco non smentisce l’intenzione generale, “Gun-shy” è un brano piacevole, malgrado non riesca ad emergere dalla scaletta per eccezionalità esecutiva o tasso artistico. Anche qui le tonnellate d’effetto che governano i suoni di chitarra, immergono l’intero brano nella coltre d’indefinitezza in cui naviga il disco fin dai primi secondi. “Half gate” è perla luminosa del disco, caratterizzata da una voce riverberata, ed un andamento ritmico di marcetta della batteria governato dall’uso del rullante e poco altro. Il brano divampa verso metà della sua corsa nelle armonie di synth, che sono però solo accenni momentanei alternati alla sospensione eterea che permea la traccia fin dal suo inizio. Il disco si chiude con “Sun in your eyes” brano apprezzabile, seppur non emerga prepotentemente dal resto della scaletta, riesce bene nell’impresa di concludere degnamente un buon disco.
Le uscite discografiche, forse a causa dell’overload produttivo che caratterizza i gli ultimi anni, sono sempre più guidate dal rispetto di canoni prestabiliti dal genere d’appartenenza, all’interno dei quali solo di rado si riesce ad ascoltare qualcosa di realmente propositivo. “Shields” è un album particolarmente ispirato, seppur ancora parzialmente vittima indiretta delle proprie etichette. Tra le tante uscite indie/alternative di questo 2012 ormai in chiusura, “Shields” riesce sicuramente a ritagliarsi un posto di riguardo, grazie a delle tinte particolari e delle ambientazioni sonore davvero intriganti. I Grizzly Bear sono riusciti nel tentativo di realizzare un disco per molti versi semplice, dietro la cui facilità d’assimilazione si apre un mondo di rimandi fugaci e spesso inattesi.
Agrodolce, nebbioso ed intrigante.
Francesco Sicheri Genere: Indie Rock/Alternative Rock
Lineup:
Daniel Rossen – voce, chitarra, tastiere
Edward Droste – voce, chitarra, tastiere
Chris Taylor – basso, voce
Christopher Bear – batteria, voce
Tracklist:
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