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Igor Stravinskij, la Sagra Folk&jazz

Per riprendere le fila del nostro discorso, sospeso sulle sperimentali note di Satie occorre adesso fare un work in regress su quell'atteggiamento ironico provocatorio del francese e della sua "losca" banda, train de vie proprio anche di un intero clima culturale diffuso in area parigina, capitale del XIX secolo, come

Per riprendere le fila del nostro discorso, sospeso sulle sperimentali note di Satie occorre adesso fare un work in regress su quell’atteggiamento ironico provocatorio del francese e della sua “losca” banda, train de vie proprio anche di un intero clima culturale diffuso in area parigina, capitale del XIX secolo, come direbbe Walter Benjamin, ed ora anche di inizio XX. Fatti Infante fatti Suora… Oh Lettore che ti appresti a leggere questo articolo ridicolo! Abbandonati mio caro scevro di pregiudizi.

E fu subito scandalo! Igor Stravinskij, l’eccentrico compositore del Novecento di origine russa ma erede dell’esperienza de Les Six, il Gruppo dei Sei, (con Erik Satie a capo del movimento), aveva dato vita ad uno “Skandalkonzert”: La Sagra della Primavera (la Vesna svyashchennaya o Primavera sacra) del 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Élysées. Il secolo Novecento non è esente da scandali e rumori di fondo, fischi e fiaschi, sberleffi e applausi scroscianti, ma quest’opera fu talmente innovativa da turbare la spavalderia del pubblico accomodante in sala.

D’improvviso dal buio del teatro si levarono gli acuti “stranianti” intonati dal fagotto inseguiti da melodie disconnesse, evocanti quel «sacro terrore nel sole di mezzogiorno» come ricorda Stravinskij. Aveva inizio, caro Lettore, il quadro “l’Introduzione” de l’Adorazione della Terra, parte prima dell’opera, da una melodia popolare lituana impostata su scala modale difettiva e su quarte richiamanti la Russia pagana “primitiva” e suscitanti risatine e fischi negli esteti acclamanti il “nuovo”, ma attenzione perché ride ben chi ride la risata final (G. Verdi, Falstaff, Atto III Parte II)Lo choc dell’accordo stridente reiterato, delle vere vexationes, da archi e fiati durante la danza delle adolescenti, “Gli auguri primaverili“, arreca ossessione ritmica con accenti irregolari tra battere e levare. A Mosca e a San Pietroburgo il balletto venne liquidato come vittima passeggera di mode mondane, ma questi ritmi ebbero un impatto universale varcando l’Europa ed approdando in terra d’America. Il quadro finale della parte prima del balletto, la “Danza della terra“, eseguito da un’orchestra numericamente indefinita tipica wagneriana, anticipa un nuovo tipo di arte popolare, basata su un’idea rituale barbarica e raffinata: una “seconda avanguardia” della composizione classica. Il “nuovo” nasce dal “primitivo”, dal fertile folklore, nel Novecento ove si ritorna alla matericità del corpo abbandonando il teatro della mente.

Béla Bartók parlò di «apoteosi della musica rurale russa» fusa a sonorità moderne oltre ad essere «une musique nègre» (Debussy). La percussività del violino in stile Bela Bartók ed il collage cubista di motivi folclorici, condussero il balletto anarchico, guidato dal coreografo Nijinskij, verso l’estenuazione sia della terra sia della fanciulla danzante, moribonda in questa “danza sacrificale” così come sognata e agognata da Stravinskij. Non mancano di stupire i bandoli della matassa intrecciati e coagulati, ovvero l’amalgama tra la musica e la pittura: una “logica del primitivismo” poliritmico e dissonante.Geniali individualità quali Seurat, Van Gogh, Gauguin e Cézanne, vaghi di una nuova sintassi basata sulla ricostruzione di spazio e volumi contrapposta all’atteggiamento sognante dell’Impressionismo, diedero il là al riunirsi degli “antimpressionisti” attorno a H. Matisse.

Nacquero così i Fauves, i cosiddetti selvaggi Braque, Derain, Dufy e altri, ricercatori di un colore acceso “inciso” su tela. Nel 1905 ci fu la prima esposizione dei loro quadri e i temi da loro preferiti quali marine, barche, fiumi, finestre affacciate su villaggi assolati erano ispirati al luogo dove si riunivano l’estate: Collioure sul Mediterraneo. La ricerca di cromaticità “selvaggia” e cangiante che dissolvesse la natura, umana e non solo, per ricostruirla – e non riprodurla per come ci appare – secondo l’evocazione delle immagini suscitate nel buio interiore, conoscenza di una profondità vera, s’accordava a questi paesaggi e contraddistinse l’Espressionismo tedesco e il cubistico Les demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso. Quel fauve di Stravinskij, autodefinitosi “modernista” sradicato dalla cultura popolare russa, mescolò contraddittoriamente questa cultura materna con quella francese nel breve pezzo orchestrale Feu d’artifice (1908), attirando l’attenzione di Sergej Djaghilev. Quest’ultimo ingaggiò Igor per l’inaugurazione dei Balletti russi facendo così rivivere una leggenda popolare russa sulla scena musicale parigina: L’Oiseau de feu.

Balletto che sfrutta la scala diminuita alternante toni e semitoni, del suo maestro giovanile Rimskij-Korsakov, e la Rapsodie espagnole di Maurice Ravel, modelli superati grazie all’interazione immagine-suono (una musica narrativa-visiva ripresa da Varese) e all’idea di “lotta” piano-orchestra. Djaghilev riprese questa idea legandola alla storia di un burattino innamorato d’una ballerina di carillon, il cui amore è contrastato dal Moro. Si tratta di Petrouschka (1910-1911) (l’altra faccia di Pierrot e Pinocchio): balletto del 1910 in quattro quari, ambientato durante una Fiera a San Pietroburgo nell’ultimo giorno di Carnevale, ove le marionette vivono una vita fittizia sulla scena circense, e vera quanto magica dietro le quinte.

La trovata davvero efficace di “lotta strumentale” si materializza nel contrasto Petrouschka-pianoforte e Moro-orchestra, il quale la spunterà seppur nel finale il fantasma del protagonista lo perseguiterà a mo’ di spettro amletico. Petrouschka è accompagnato da un motivo scandalosamente capriccioso per la sovrapposizione politonale di due accordi (F e F#) intonati dalla mano destra sui tasti bianchi e da quella sinistra sui tasti neri, che crea un effetto cromatico percussivo del piano. Ma l’aspetto peculiare del balletto è la ricostruzione “ironica” di musica (preesistente) non colta e deformata da stonature di musicisti da fiera, che danno vita a giustapposizioni sonore brutali e attimi di tonalità definita.

Signore e signori, ecco la crisi dell’idea classico-romantica di sviluppo coerente delle idee musicali e l’analogia col gusto circense-coloristico dei Fauves parigini dell’epoca e con l’ironico quartetto Satie-Cocteau-Djaghilev-Picasso della Parade. Il faut être absolument moderne diremmo secondo la massima di Rimbaud.

Le scale modali “difettive”, trascuranti la tonalità tradizionale, accompagnate da intrecci ritmici imitanti il movimento della folla metropolitana moderna e l’idea del divenire indipendente delle arti, attireranno l’attenzione del critico J.Rivière, esaltato dalle note rivelatrici del compositore della “sintesi delle arti” priva di quell’enfasi wagneriana troppo ingombrante.

Sorprendentemente Stravinskij tese le sue corde musicali verso il Jazz (e viceversa) ed esportando i suoi Balletti russi in America, conobbe e restò entusiasta della “musique nègre” ‘inutile’ e spontanea […] che non cerca d’esprimere niente, anche se questa non era intenzione di musicisti quali Jelly Roll Morton.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il compositore russo risiedeva in Svizzera alla ricerca di una nuova forma musicale non più vittima dell’ “intollerabile” Germania e la ritrovò nel Jazz. Così nel 1918 compose una suite per un teatro itinerante di marionette che allietasse le truppe in guerra: Histoire du soldat (Storia di un soldato) su testo di C.-F. Ramuz. La storia, rielaborazione di due fiabe russe, narra la vicenda faustiana di un soldato-violinista che vende l’anima-violino al diavolo in cambio di ricchezze. L’emblema della sua sconfitta sarà il violino “muto”. Insolita è l’orchestra da camera, forse influenzata dal Pierrot Lunaire di Schönberg, che si avvale di pizzicati di quattro note intonate dal violino, vero protagonista sonoro contrappuntato dalla voce recitante. La partitura si presenta secondo pezzi chiusi da Suite che svolgono idee ritmico-timbriche da fanfara di marcia e violino da fiera, da languore di tango o in stile iterativo e sincopato da ragtime, generalmente secondo lo schema A-B-A.

Ritenuto dai critici la prima composizione “cubista“, per la giustapposizione di elementi diversi e lo stile sintetico-geometrico della IV sezione, TangoValseRag, emerge per un incredibile cosmopolitismo musicale (e caricaturale come la Parade che mescola ragtime e valzer viennese). L’intersezione della figura del contrabbasso con lo sviluppo solitario dell’assolo suggerisce la performance di un ensemble Jazz, sull’archetipo della Creole Band, il grande sogno dell’ “esule” russo.Abbandoniamo ora drasticamente anzi strappiamoci la penna che scotta e che scalpita dalle mani ed attendiamo la nuova, ma non del tutto insolita, svolta artistica di quel fauve che più tanto fauve non è.

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