C’era una volta la californiana etichetta SST (“Corporate rock still sucks!”) con gruppi strabilianti come Minutemen, Hüsker Dü, Black Flag, Sonic Youth, Screaming Trees. In mezzo a certi grandi artisti controcorrente, suonava un timido ragazzino con una Fender Jaguar, fan di Neil Young, di nome Joseph Mascis, che in poco tempo divenne un’icona di stile con i suoi Dinosaur Jr. Where U Been, sesto album, è il simbolo di quel cammino intrapreso per l’underground, in mezzo alla scena hardcore, con i grandi chitarristi nel sangue. Mascis è melodico, sporco, perfezionista senza essere perfetto, capace di farti saltare sulla sedia per un vibrato, un bending millimetrico che sale e scende improvvisamente riuscendo sempre a emozionare; come la melodia c’è la dissonanza, l’arpeggio sporco, il power-chord energico, il tutto caratterizzato da impasti sonici di diversi fuzz e feedbacks. J. sente quanto la chitarra nelle sue mani sia viva e lo sentono anche gli ascoltatori. Un “wall of sound” di strumentazione rock (immaginate casse e testate Marshall e chitarre Fender), ma ben poco tradizionale nel risultato: noise melodico di un musicista che, dalle radici attraverso l’indie, ha proseguito per la sua strada, fregandosene delle mode ed esplorando il proprio strumento come scandaglio della sua profonda e malinconica anima. Where U Been è un disco che piove letteralmente addosso, lasciandoti impregnato di suono. La numero uno è Out There: assolo introduttivo pieno di vigore seguito da una strofa col cantato sdoppiato e le chitarre distorte che corrono soniche. Un contrasto che si ricompone nel ritornello, per crescere solitario con: “I know you’re out there/I know the face it’s not erased”. Poche parole finali lasciano spazio a un eloquente assolo. Torna l’amara grinta in Star Choppin’, What Else Is New, col suo prezioso finale, e il punk melodico di On The Way camuffato grazie all’assolo col wahwah. A sorpresa chitarra acustica, organo, in sottofondo timpani e violini, un tiepido riff elettrico e un Mascis svuotato dalla sofferenza che a filo di voce canta Not The Same, struggente ballata dal testo emblematico. Un tale intensità non può che sfociare nella stupefacente Get Me, miglior pezzo dell’album. J. esordisce monotono con “I don’t see you, I won’t call you/I don’t know enough to stall you/Is it me, or is it all you? Guess, it’s on and on”, ma si lascia andare nel ritornello, in cui gli fa eco una voce femminile: “You’re gonna get me thru this/Are you?”. Nel finale l’esplosione del più noto assolo Dinosaur Jr., il secondo nel brano, due minuti e rotti di libertà e catarsi. Drawerings ha lo stesso ritmo di Get Me, ma è meno incisiva; Hide è caotica, sporca e tirata, ricorda i Sonic Youth. L’album si chiude con una perla e un inno: Goin’ Home e I Ain’t Sayin’. Nella prima un mix di chitarre acustiche ed elettriche, sovrapposte all’unisono o ben tessute assieme, e organetto compongono un’atmosfera in cui tutto è equilibrato, leggero. La voce è accattivante, positivamente rassegnata, ricca nelle sue sfumature caratterizzanti: “If it’s gonna be the last time, well then maybe it’s alright (I’m goin’ home)”. Il secondo e ultimo pezzo suona fin dall’inizio solenne: l’epico intro di chitarra diretto e pulito echeggia come l’annuncio di una resa che non avverrà, poi una promessa spiazzante: “I’ll be back for. It’s a drag. Still need a few more. Not a good sign. And I’m rollin’ home to you”.
Casa discografica: WEA / Blanco Y Negro
Anno: 1993
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