Potete ben immaginare il mio stato d’animo quando, dopo essermi messo comodo sul mio letto con le cuffie, ho acceso lo stereo e premuto il tasto “play” pronto ad ascoltare il tanto desiderato “A Dramatic Turn of Events”. È questo il nome, intriso di fatalista drammaticità, dell’ultima fatica dei nuovi Dream Theater che senza il pilastro Portnoy, sostituito da un “Mike” altrettanto valido come Mangini, questa volta sembrano veramente avere le carte in regole per offrirci qualcosa di nuovo: sfiderei chiunque a trattenere la curiosità avendolo tra le mani!
Naturalmente non avevo previsto di addormentarmi (non è colpa dell’album, ma dell’ora tarda), e tanto meno di ritrovarmi al centro della scena in quel teatro onirico animato dai sogni…IO: Pronto?SEGRETARIA: Signore, ci sono i Dream Theater che attendono da un po’ ormai, si stanno spazientendo…IO: Li faccia salire, ho appena finito di bere il mio caffè.Pochi attimi e si sente bussare alla porta. La band al gran completo fa il suo ingresso, ci salutiamo, e dopo i soliti convenevoli li invito a sedersi.J. PETRUCCI: Ti trovo bene Francesco! Hai ancora quella collezione di duecento chitarre? Quando la facciamo una jam insieme?!IO: Duecentoquarantatré per la precisione. Per la jam fissa un incontro con la mia segretaria, è un periodo un po’ pieno. Infatti ho un appuntamento dal barbiere subito dopo di voi… quindi meglio smetterla con le chiacchiere e passare al motivo per cui siete qui, “A Dramatic Turn Of Events”, il vostro nuovo e attesissimo album: i fans ripongono molte speranze in esso, dopo delle prove che hanno fatto storcere il naso a molti; sarete all’altezza di queste aspettative?J. RUDESS: Non credo che gli ultimi album fossero poi così orribili. Certo, magari i fans preferivano lo stile dei nostri esordi, ma i tempi cambiano e noi con loro, come dimostrano anche i miei capelli. Comunque non penso che “Black Clouds & Silver Linings” fosse sotto la sufficienza…IO: Nessuna delle vostre uscite lo è, ma siete i Dream Theater, la gente si aspetta grandi cose da voi: è con “Awake”, “Images and Words” e “Metropolis Pt. 2” che avete fatto innamorare il mondo, e ultimamente pur rimanendo voi stessi vi siete allontanati molto da lì…J. LABRIE: È vero, ma noi vogliamo essere un gruppo dinamico e lo saremo anche in quest’ultimo lavoro. Questa volta, però, vogliamo cercare di mettere d’accordo sia i fans della vecchia guardia che i nuovi.IO: Sulla carta sembra un ottimo proposito, ora vedremo nella pratica. Intanto la partenza di Portnoy ha pesato molto su questa vostra svolta stilistica?J. RUDESS: Mike aveva una grande influenza sul nostro songwriting e su di noi: ha dei gusti molto vari e sopratutto moderni, non so se avrebbe appoggiato questa nostra scelta…J. PETRUCCI (stringendo i pugni e accentuando la già poderosa massa muscolare): Mike è come un fratello per me, ma ci faceva sempre pesare il fatto che noi non eravamo come lui… ci diceva che eravamo sfigati perché preferivamo rimanere a suonare invece che andare ad un party… è per farmi rispettare che ho iniziato a fare palestra! (gli occhi sono visibilmente umidi, NdA) Ora per fortuna c’è Mangini: lui non porta quelle odiose maglie da basket, è un buon batterista, una persona piuttosto normale… e sopratutto non sente il bisogno di sputare sulle mie casse Mesa mentre suona! (tira una poderosa pacca sulla palla al nuovo batterista)IO: Quindi Mike, c’è molto di tuo in quest’ultimo lavoro dei Dream Theater?M. MANGINI (una piccola lacrima gli riga la guancia mentre si massaggia la spalla): Intanto vorrei dire che lavorare con questo gruppo è fantastico: è stato il mio sogno fin da bambino (quando Mike era bambino anche gli altri componenti dei DT lo erano, NdA), sono veramente fantastici! Per rispondere alla domanda: di mio, dal punto di vista compositivo, non c’è molto. Le canzoni erano già completamente scritte prima che arrivassi, io ho soltanto imparato le parti e aggiunto qualche cosa, ma niente che non riguardasse la batteria.IO: Capisco. Complimenti comunque, in alcune tracce hai tirato fuori delle ottime idee… in altre invece sei stato un po’ in ombra, come in “On the Backs of Angels”, prima traccia e singolo estratto: un buon inizio, in cui tutti voi fate una prestazione ineccepibile, ma anche piuttosto prevedibile. Bisogna poi sottolineare che la struttura della canzone è estremamente simile a quella di “Pull Me Under”…J. LABRIE: Speriamo nessuno ci denunci per plagio! (ride) Comunque, sì, in effetti ci sono molte similitudini, ma non ci vedo nulla di male! Ha una sua personalità, è una traccia molto solida, ammaliante e godibile: nel cantato è molto coinvolgente e strumentalmente la prestazione è ineccepibile, come hai detto tu…IO: Certo, bisogna dire che il solito Petrucci e sopratutto Rudess sono in grande spolvero in quest’album, ma questo è più evidente dopo “Build Me Up, Break Me Down”, una traccia che lascerà perplessi in molti: è una delle più dirette dell’album, senza dubbio, ma è anche estremamente lineare, e le sperimentazioni sia strumentali che vocali non la valorizzano molto. Stilisticamente ricorda il tuo (buon) lavoro solista “Elements of Persuasion”.J. LABRIE: Riconosco che è una traccia più semplice rispetto alle altre, ma era proprio quello che volevamo: il riffing puramente Metal e anche le sperimentazioni a cui hai accennato la rendono moderna, facilmente assimilabile e con un potenziale radiofonico. Gli ascoltatori più esigenti devono passarci sopra, magari gustandosi il buon stacco strumentale, e saranno ripagati dalle prossime tracce.IO: In effetti già “Lost Not Forgotten” apre le porte ad un nuovo scenario: una intro di gran gusto, gli ottimi riff, ma sopratutto grandi dosi di quel “Non Sense Progressive”, vostro marchio di fabbrica ai bei tempi, che incontriamo a partire dalla prima sfuriata e ritroviamo anche nella parte strumentale. Non un capolavoro, visto che ogni tanto manca la compattezza e le soluzioni sembrano più forzate di quanto dovrebbero, ma una buona traccia che lascia ben sperare per quello che segue.J. PETRUCCI: Ammetto che abbiamo un debole per quello che chiami “Non Sense Progressive” e io stesso molte volte suonando mi domando “ma quando finisce questa parte?!”: ma è questo il bello, i nostri ascoltatori più affezionati lo sanno e facendoci l’orecchio la sensazione di forzatura scomparirà. Comunque io avrei messo l’accento anche sul mio ottimo assolo.J. RUDESS: E sopratutto sul mio, in quest’album penso di aver fatto un ottimo lavoro in tutte le tracce.IO: Anche se nella prossima “This is the Life” il vero protagonista, strumentalmente parlando, è Petrucci con il suo assolo; una ciliegina sulla torta per una buona ballad carica di emozioni e che personalmente ho apprezzato molto.J. PETRUCCI (indirizzandosi prima a Rudess): Hai sentito che ha detto!?… Comunque naturalmente il nostro obbiettivo era comporre qualcosa all’altezza di “The Spirit Carries On” e penso che abbiamo sfornato una valida concorrente.IO: Non esageriamo, questa è una traccia più che buona, quello un capolavoro. La seconda parte dell’album si apre con la intro oscura di “Bridges in the Sky”, molto particolare.J. PETRUCCI: Era quello che volevamo: il primo titolo di questa canzone era “The Shaman’s Trance” e parla appunto dell’esperienza ascetica… non c’era migliore introduzione del canto dello sciamano stesso e le atmosfere gregoriane.IO: Interessante, come lo è anche la canzone. Finalmente alla tensione strumentale corrisponde la tensione lirica: un brano ben riuscito e molto epico, come lo è gran parte dell’album. Complimenti, tra gli altri, anche a Mangini di cui finalmente si comincia a sentire l’unicità stilistica!M. MANGINI (Battendo i pugni sulle ginocchia): Penso che ti sbagli, l’ho suonata esattamente come l’avrebbe suonata Portnoy! Ragazzi non dategli ascolto!IO (dopo aver lanciato uno sguardo perplesso a Mike): Proseguiamo con “Outcry”, anche qui abbiamo qualche tocco di Elettronica e delle linee melodiche moderne, ma siamo ben lontani “Build Me Up, Break Me Down”.J. LABRIE: Sì, siamo quasi agli antipodi vista la complessità di questa traccia, però in comune hanno l’intensità: parliamo di resistenza, il pubblico si deve assolutamente esaltare.J. RUDESS: Esaltante è la parola giusta per descrivere anche la parte strumentale: un progressive estremo, quasi selvaggio che ci siamo divertiti molto a comporre ed eseguire!IO: Si sente. Ma si sentono anche i problemi di cui già parlavamo in “Lost Not Forgotten”: la parte strumentale esaspera nel suo “Non Sense Progressive” e non è proprio coesa, ma immagino che vi piaccia proprio così. Jordan e James prendono tutta l’attenzione con “Far From Heaven”, un lento molto dolce e piacevole dove si può apprezzare benissimo la tua voce James: deliziosa.J. LABRIE: Grazie! Mi fa piacere che questo momento così particolare sia piaciuto!J. PETRUCCI (dando una leggera gomitata al cantante): Forza James, invece di queste risposte così scontate perché non sveli il segreto delle tue composizioni lente?J. LABRIE (arrossendo vistosamente): Non so di cosa stai parlando!J. PETRUCCI: L’ispirazione per queste canzoni il signor LaBrie le ricava dai film di Walt Disney. In questo caso vedendo “Il Re Leone”, quando il padre di Simba muore… un momento molto triste… (un’espressione afflitta accompagna le ultime parole, NdA)IO: In effetti questo brano trasmette uno stato d’animo del genere, molto toccante. Tornando al disco è il turno della penultima traccia, “Breaking All Illusions”. Myung era da “Fatal Tragedy” che non scrivevi un testo e vista la tua partecipazione a questa intervista/recensione penso di capire il perché: sai che dopo aver letto che il testo era tuo pensavo fosse una strumentale?J.MYUNG: …IO: Ehm… era una battuta! Una strumentale, cioè senza testo… perché tu non sei molto… ok, lasciamo stare. Tornando alla canzone: sinceramente non mi sarei mai aspettato di dirlo, ma è l’ennesima bella canzone di quest’album, con i suoi numerosi stati d’animo che si rincorrono tra speranza e tristezza.M. MANGINI: Già, è una canzone epica, dinamica, e complessa che mi ha preso subito; mi ricorda “Learning to live”…J. RUDESS: Diciamo che la ricetta heavy, progressive e melodic alla base di quest’album è riuscita particolarmente bene qui.J. PETRUCCI: Io sono anche particolarmente soddisfatto del mio assolo, il mio preferito di quest’album.IO: In effetti è molto bello. Sicuramente questa è una delle tracce meglio riuscite e memorabili del disco. Però anche qui, come per tutto l’album, ogni tanto si ha qualche “strano deja vù” e alcune parti ricordano molto altri vostri brani, sopratutto nelle tastiere di Rudess.J. RUDESS: In questo album ho utilizzato tanti suoni diversi, molti dei quali li avevo già presenti in altre canzoni naturalmente: alcuni tratti potranno ricordare l’orientaleggiante di “Home” o “In The Name of God”, oppure “Octavarium”. Significa che quelle canzoni sono rimaste impresse, è una cosa buona.IO: Arriviamo ai titoli di coda che sono scanditi da “Beneath the Surface”: una traccia toccante, un po’ inaspettata, ma senza particolari lodi.J. LABRIE: A parte la mia perfetta prestazione vocale… sopratutto nel finale.IO: Vero, e anche il bel assolo di Jordan. Tirando le somme, fin dal primo ascolto l’album impressiona grazie a una sezione strumentale ricca di vitalità, che pur non essendo perfettamente coesa riesce a stupire molte volte: siete apparsi tutti molto in forma, con un Mangini ben integrato che ci ha messo qualcosa di suo in quasi tutte le tracce, Myung ispirato e ben udibile e Petrucci e Rudess a tratti realmente maestosi. Riuscite a tenerci sulle spine, curiosi di sentire cosa vi inventate come non lo facevate da tanto tempo; anche se alcune volte utilizzate mezzi poco corretti come parti strumentali fini a sé stesse, che alla fine sono anche un vostro marchio di fabbrica ma qui suonano molto meno coese naturali rispetto ai vostri capolavori.J. PETRUCCI: Come ho già detto, per me è questione di prenderci l’orecchio. Poi a favore dell’album vorrei mettere l’accento anche sui testi, che come al solito per la maggior parte portano la mia firma: sono tutti incentrati sul tema dei cambiamenti drammatici, che siano questi mentali, fisici o religiosi.IO: C’è un pizzico di autobiografia quindi, la perdita di Portnoy è stata per voi un cambiamento drammatico.J. LABRIE: Senza dubbio, dopo anni insieme è inevitabile, ma lui ci chiedeva una pausa che non volevamo prendere, il suo abbandono è stato inevitabile.J. RUDESS: Portnoy è un grandissimo batterista e sopratutto un amico fraterno, ma noi restiamo i Dream Theater con o senza di lui: continueremo a sfornare capolavori come abbiamo fatto finora!IO: Mi fa piacere vedere il vostro entusiasmo e la voglia di fare. Però Jordan, mi dispiace contraddirti, ma è un bel po’ che non ci fate ascoltare qualcosa di più che sufficiente…J. PETRUCCI: Prima di questo naturalmente.IO: No, veramente anche dopo di questo. Ragazzi avete fatto una svolta molto piacevole, ma pur sempre relativa: non è un capolavoro. Ammetto però che è un lavoro valido, con ottimi spunti, anche imprevedibile in alcuni punti, che fa sperare benissimo per il futuro. Con l’entrata di Mangini in pianta stabile e il suo apporto compositivo potremo vederne delle belle. J. PETRUCCI: (stringendo i pugni e alzandosi con Rudess e Mangini): Stai dicendo che non è un capolavoro?!J. RUDESS: Rimangiati quello che hai detto!M. MANGINI: Sei un critico da quattro soldi!J. LABRIE: Calmi ragazzi, sicuramente abbiamo capito male: “A Dramatic Turn of Events” non è un capolavoro?IO: Ragazzi, è carino, ma avete fatto molto di meglio…J.LABRIE: Myung.J.MYUNG (si alza con fare poco amichevole): Sei fortunato critico da strapazzo, stai sognando e quindi non posso farti niente. Ma ti troverò, e non ti lascerò neanche il tempo di chiedermi l’autografo, preparati a una… Myung-tackle.IO: Questa sì che è una svolta drammatica…Destandomi da sogni inquieti mi ritrovai al sicuro nel mio letto… senza i Dream Theater. Peccato, perché un autografo su un cd come “A Dramatic Turn Of Events” mi sarebbe piaciuto… anche se non si tratta sicuramente di un masterpiece (ammetto che avendo i Dream Theater a propria disposizione ci sono almeno tre o quattro dischi che avrebbero la priorità di firma prima di questo ultimo lavoro, ma siamo qui per parlare di questo). Spero di rimediare quando li vedrò dal vivo: questi brani hanno le potenzialità di esaltare e intrattenere senza far rimpiangere i numeri da circo di Portnoy.Si prevede un ottimo show… devo solo tenere a mente di stare alla larga da Myung!Genere: Progressive Metal
Line- up:
James LaBrie – voce
John Myung – basso
John Petrucci – chitarra elettrica, chitarra acustica, cori
Mike Mangini – batteria, percussioni
Jordan Rudess – tastiere, continuum, Morphwiz (applicazione per iPhone)Tracklist:
Francesco “Forsaken_In_A_Dream” Cicero
Aggiungi Commento