Brad Mehldau è senza dubbio tra gli artisti più poliedrici mai esistiti. Lo abbiamo visto esprimersi nei più disparati ambiti del jazz, dalle radici traditional fino alle sperimentazioni moderne che sfociano nell’utilizzo di sintetizzatori, elettronica e ritmi progressive, passando per reinterpretazioni di canzoni pop e materiale classico di stampo Bachiano.
Senza considerare poi la quantità di brani originali composti in già quasi trent’anni di attività, tra cui spiccano capolavori assoluti come “When It Rains” inserita nell’album Largo del 2002. Alla registrazione di questo brano prendono parte Larry Granadier e Matt Chamberlain, oltre a una sezione fiati composta da obole, clarinetto, flauto e fagotto.
La struttura è composta da 16 misure suddivise in AABA. La tonalità di impianto è Si Maggiore, anche se inizia con un B7 con la settima minore al basso (che risolve sul Vi°), che conferisce dinamicità e ambiguità già dalla prima misura.
Mehldau si muove con incredibile agilità ritmica sul tempo molto ridotto di questa ballad pop come una sorta di “pendolo”, in equilibrio tra il “laid back” di alcune frasi e il suonarne “avanti” altre. Anche per questo motivo trascrivere il suo solo è stato molto complesso, e ho deciso di semplificare ritmicamente la trascrizione di alcuni passaggi rendendoli più leggibili, considerando la sua interpretazione dell’intero solo come un valore aggiunto non trascrivibile ma assimilabile con l’ascolto.
Al di là delle scelte particolari legate al fraseggio o ai “colori” usati sui vari accordi all’interno del solo, credo che la caratteristica più importante sia la maestria con la quale Mehldau gestisce cellule melodiche estremamente cantabili: “motivi” semplici che ripete durante il solo e su cui si appoggia per poter creare altre linee originali e complesse. Attira l’attenzione dell’ascoltatore per poi stupirlo con un’invenzione folgorante.
A differenza degli altri soli analizzati e trascritti nella rubrica, in questo è molto difficile estrapolare frammenti per “aggiungerli” al nostro repertorio decontestualizzandoli. Come un vero fuoriclasse, Mehldau utilizza il suo materiale solistico in modo totalmente personale ed estemporaneo, modellando e incastrando pattern e scale e creando quindi dei fraseggi estremamente evoluti.
Su un G7 usa un pattern basato sulla scala maggiore trasportandolo consequenzialmente in Fa, Do, Mib e Lab, per poi rientrare nell’armonia sul Bmaj (batt. 13-14).
Altera il B7/A con un arpeggio di Gmaj (batt. 18).
L’uso incredibile che Mehldau fa del ritmo si riflette non solo nel laid back che caratterizza tutto il brano, ma anche in pattern molto serrati come quello sull’arpeggio di Emaj7 che prosegue in terzine sul C#9 (batt. 26-27), e sul Bmaj e B7 (batt. 41).
Esempi di colori bluesy sono dati dall’utilizzo di passaggi cromatici tra la 3a e la 5a quasi sempre sul B7/A (batt. 22), o quando fa cantare la 3a minore sempre sul B7/A (batt. 38)
Mi scuso per aver semplificato gli arpeggi estesi alla fine del solo, spero di aver compreso il “colore” che intende usare Mehldau in questo passaggio: G- su Emaj7#11, Fmaj su G7.
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